Immigrazione, crisi e Covid: a Mondragone prova generale del neo-ribellismo meridionale

26 Giu 2020 14:17 - di Lando Chiarini
Mondragone

A cinquant’anni esatti dalla rivolta di Reggio Calabria, Mondragone rischia di diventare lo schema di un neo-ribellismo meridionale. Diversi, ovviamente, i contesti così come inaccostabili le motivazioni sottese ai due fenomeni: là una città ferita dal mancato riconoscimento di capoluogo calabrese, nel momento in cui il varo delle Regioni lasciava ingannevolmente intravedere nuovi orizzonti di crescita e nuove opportunità di riscatto; qua un paesone di 30mila anime sdraiato sulla Domiziana, che ancora recrimina sui tanti soprusi subiti. A cominciare dall’occupazione manu militari delle seconde case e degli alberghi del litorale. Requisite le une e gli altri non per dare alloggio ai terremotati dell’Irpinia, ma ai “senza tetto” storici di Napoli.

Mondragone termometro della crisi del Sud

All’epoca – era il 1980 – se ne contavano a decine di migliaia sotto il Vesuvio. Maurizio Valenzi, il primo sindaco comunista nonché Commissario alla ricostruzione, se ne sbarazzò deportandoli a Castelvolturno e a Mondragone. “Liberò” la sua città. In compenso, azzerò irreversibilmente le speranze di decollo dell’offerta turistica di un territorio che certo di non difetta(va) di bellezze naturali. Ironia della sorte, il grosso di quella massa di diseredati dirottati a Mondragone trovò alloggio proprio nei palazzi Cirio. Gli stessi casermoni di cemento che quarant’anni dopo sarebbero diventati l’epicentro della rivolta anti-bulgara al tempo del Covid. A conferma che spesso la disperazione è un filo rosso che avvolge e intreccia epoche ed etnie. Ieri i “senza tetto” napoletani, oggi i bulgari.

1700 percettori di Reddito a fronte di 2000 attività economiche

Ma è Mondragone che nel frattempo è cambiata. Il paesone non ha più la ricchezza di un tempo. Oggi, anzi, è uno dei tanti termometri della crisi profonda che attanaglia il Sud. Sono 1700 i percettori di reddito di cittadinanza a fronte di 2000 attività economiche in esercizio (rapporto di poco inferiore all’uno a uno), il cui 30 per cento è costituito da pizzerie, ristoranti e bar. Fioriscono, invece, le sale gioco: se ne contano ben quindici. In compenso, il centro storico ha perso la luce delle insegne dei negozi. E non solo. Nelle sue strade e nelle sue case si contano più immigrati che nativi. Può andar bene finché va tutto bene. Ma basta una scintilla a far esplodere la polveriera. E ti accorgi così che, a spegnere il fuoco, non bastano né reddito di cittadinanza né esercito.

 

 

 

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