Delirio Usa, “Colazione da Tiffany” e “Forrest Gump” sono razzisti: la lista “nera” si allunga
La rimozione di “Via col vento” dal catalogo Hbo in quanto film razzista è soltanto la punta di una follia iconoclasta innescato dalla rivolta Black Lives Matter. C’è anche di peggio, quando il politicamente corretto subentra all’intelligenza delle cose. Da Variety, una Bibbia per chiunque si occupi di spettacolo, è spuntata una lista di dieci film “pericolosi”, da vedere, ma con cautela: «preceduti da una spiegazione e forniti di un’avvertenza, riguardante razza, sessualità, disabilità e altro ancora». La furia ideologica insomma, fa fuori alcuni titoli “cult”, patrimonio dell’immaginario collettivo. Titoli da prendere con le molle, scrive la rivista, perché non in linea con i tempi. A scriverlo così è Tim Gray, vice-presidente di quello che viene considerato il gazzettino di Hollywood.
Gli abbonati si sarebbero scandalizzati nel leggere alcuni titoli ai quali sono molto legati. Si tratta della storia del loro cinema. Come rinnegare babbo e mamma. Altri hanno proprio disdetto l’abbonamento al magazine. Il quale scrive, per esempio, che “Forrest Gump” (1994), «pur essendo condiscendente con i disabili, i veterani del Vietnam e i malati di Aids», tirerebbe la volata nientemeno che al Ku Klux Klan: «Il protagonista prende il nome dal nonno Nathan Bedford Forrest, primo sostenitore del KKK», spiega Gray . Viene da rispondere con la battuta-simbolo del film reso celebre da un grande Tom Hanks: «Stupido è chi lo stupido fa, signore».
Ecco i film su cui si abbatte la follia
Anche Quentin Tarantino, il padre del «pulp», finisce nel tritacarne della stupidità “C’era una volta a Hollywood” (2019) vede Leo DiCaprio e Brad Pitt come «due ragazzi bianchi di mezza età, impegnati a resuscitare la vecchia Hollywood». Che male c’è? C’è, spiega nell’articolo Gray, che nel 1969, quand’è ambientato il film, esistevano hippies e femministe, qui maltrattati al pari dei messicani, ritratti come camerieri o «car valets».
Anche Clint Eastwood e Indiana Jones nel tritacarne
Sotto accusa uno dei “must” del genere western di John Ford, Sentieri selvaggi (1956): il veterano della Guerra Civile, John Wayne sarebbe un «razzista non apologetico»: cerca la nipote rapita dai Comanchi e presenta «i nativi americani come selvaggi».
Poi arriviamo al celebre Il silenzio degli innocenti (1991), dove i trans vengono “maltrattati”: Buffalo Bill (Ted Levine), il serial killer, si trucca da donna, presentato secondo stereotipi. Naturalmente bocciato è “Ispettore Callaghan: il caso Scorpio è tuo” (1971). Il grande Clint, pur determinato a far osservare la legge, alla fine agirebbe avallando la brutalità della polizia.
Follia ed ignoranza fanno ancora di peggio. Chi ha amato ed ama “Colazione da Tiffany”, sappia che è indegno. Il film veicola lo stereotipo del giapponese, interpretato da Mickey Rooney. Lo scorbutico ed eccentrico vicino di casa dell’indimenticabile Holly- Audrey Hepburne metterebbe in cattiva luce i giapponesi.
Anche West Side Story, celebre musical del quale Spielberg ha girato l’atteso remake, metterebbe in cattiva luce i portoricani: «ritratti come membri d’una banda», sentenzia Variety. Sotto accusa anche “Holiday Inn” (1942), perché Bing Crosby canta con la faccia dipinta di nero, celebrando il compleanno di Abe Lincoln.
Rompono le scatole anche ad Harrison Ford: questa rassegna dei film da maneggiare con cautela non risparmia “Indiana Jones e il tempio maledetto” (1984): «Spielberg e Lucas sono, in genere, registi compassionevoli, ma qui l’India e i sacerdoti hindu sono stereotipati», chiosa Tim Grey in preda a delirio. Ma come abbiamo fatto in tutti questi anni ad essere così insensibili, razzisti, cattivi? Pezzi di cinema, pezzi di cultura bruciati sull’altare del Black Lives Matter. Sì l’Occidente è al capolinea.
E perché non aggiungere “Indovina chi viene a cena ?”
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