Coronavirus, il Tar obbliga la Lombardia a pagare i test sierologici. Esulta il M5S
Il Tar della Lombardia obbliga la Regione a pagare i test sierologici sul Coronavirus.
I giudici amministrativi hanno accolto, infatti, il ricorso di Technogenetics. Che aveva contestato di fronte alla magistratura l’accordo tra la Fondazione del Policlinico San Matteo di Pavia e la Diasorin sui test sierologici sul Coronavirus.
I grillini esultano. Ma il Policlinico San Matteo reagisce in tempo reale: “impugneremo tempestivamente in Consiglio di Stato la sentenza del Tar”. Che ha annullato la determinazione della Regione Lombardia. E l’accordo connesso. E ha condannato la Fondazione I.R.C.C.S. Policlinico San Matteo e Diasorin spa, in solido al pagamento delle spese processuali, 10.000,00 euro. Ma ha anche trasmesso gli atti alla Procura presso la Corte dei Conti di Milano. Che, in prospettiva, potrebbe contestare il danno erariale.
Amaro il commento di Alessandro Venturi, presidente del Policlinico San Matteo di Pavia.
Quello sui test sierologici validati dall’Irccs per la rilevazione degli anticorpi contro il Coronavirus Sars-Cov-2 “era un accordo di collaborazione scientifica come se ne fanno mille. Una bella storia di cui andare fieri. Proventi per la ricerca pubblica che derivano da vendite fatte in altri Stati del mondo. Paesi importanti con aziende molto attive in questo settore scientifico. Paesi che hanno scelto un test sierologico validato da noi”.
“Un accordo di collaborazione scientifica è sottratto alle regole del codice dei contratti – sottolinea Venturi – Quello che abbiamo siglato non è un contratto. È una convenzione peraltro attiva per il San Matteo. Che incassa soldi anche sulle royalties di future vendite, da dedicare alla ricerca scientifica. In un Paese normale sarebbero cose su cui ti farebbero un monumento”.
”Questo test – aggiunge il presidente dell’Irccs lombardo – viene venduto in tutto il mondo. E dalle sue vendite la ricerca pubblica italiana trae beneficio. Che si può reinvestire in ricerca. In un settore sottofinanziato dal pubblico”.
”Rappresenta – spiega Venturi – la possibilità, in piena trasparenza, di ricevere soldi da un privato per la ricerca pubblica. Penso sia una cosa meritoria e andremo avanti in Consiglio di Stato per difendere l’operato della fondazione”.
Secondo i giudici del Tar ci sarebbe dovuta essere “un’effettiva apertura al mercato” sui test sierologici per il Coronavirus.
La magistratura amministrativa contesta che la procedura non si sia svolta “nel rispetto della trasparenza e del confronto competitivo tra gli operatori interessati”. E richiama i “principi interni ed eurounitari in materia di evidenza pubblica”.
In definitiva, secondo il Tar, dovevano “essere rispettati i criteri di trasparenza, pubblicità e non discriminazione”.
Secondo i giudici, l’accordo “non è diretto alla semplice validazione di un prodotto finito. Ma si articola nello sviluppo di un prototipo fornito dalla società”.
E a questo seguirebbe “un ulteriore studio clinico. Per determinare le prestazioni diagnostiche conseguibili mediante un kit molecolare da sviluppare. E, quindi, non ancora ultimato”.
“Insomma – rimarcano i giudici – oltre alle attività dirette a consentire il passaggio da un prototipo ad un prodotto finito, l’accordo ha ad oggetto altre attività”.
E a queste ulteriori attività “corrispondono specifiche obbligazioni della struttura pubblica. Come mettere a disposizioni ulteriori campioni biologici. Nonché consentire l’utilizzo, nei suoi laboratori e tramite i suoi operatori, della particella virale”.
“Quindi, la convenzione – contesta il Tar – ha, ad oggetto, non solo le attività dirette a sviluppare dei prototipi. Ma anche attività successive tese all’ottimizzazione delle prestazioni dei prodotti”.
Piu nello specifico il Tar contesta il “compenso quantificato in una percentuale del prezzo dei prodotti venduti su scala mondiale”. Prezzo che, dicono i giudici amministrativi, “non ha alcuna correlazione con l’attività di mera testazione di un prodotto”.
”Specie – sottolineano – se si considera che tale percentuale spetterà per ben 10 anni”.
Ma c’e dell’altro. E “comporta, per il Policlinico, l’impossibilità di conoscere, a priori e con certezza, l’importo complessivamente ritraibile dal contratto” sottoscritto con Diasorin SpA.
Che, ritengono i giudici del Tar, “ha acquisito un illegittimo vantaggio competitivo rispetto agli operatori del medesimo settore. Perché ha potuto contare, in modo esclusivo, sul determinante apporto di mezzi, strutture, laboratori, professionalità, tecnologie e conoscenze scientifiche messe a sua esclusiva disposizione dalla Fondazione” per fare i test sierologici sul Coronavirus.
Per il Tar “l’operato della Fondazione ha posto Diasorin in una posizione illegittimamente privilegiata rispetto agli altri operatori del mercato in cui opera. Perché le ha consentito di utilizzare risorse scientifiche e materiali, proprie del soggetto pubblico e indisponibili sul piano funzionale e giuridico, per produrre un quid novi da commercializzare”.
“Impugneremo tempestivamente in Consiglio di Stato la sentenza del Tar”, avverte il presidente dell’Irccs lombardo, Alessandro Venturi.
Che assicura: “Ci muoveremo velocemente, nei prossimi giorni. I legali sono già al lavoro da stamattina. E presenteremo anche istanza cautelare di sospensione della sentenza di primo grado”.
Venturi difende l’operato del San Matteo sui test sierologici sul Coronavirus. E sottolinea che questa è “una bella storia da raccontare. Una storia – incalza – di cui vado fiero e che difenderò. Mi spiace che finisca dentro una querelle che non merita”.
“Ricordo – dice Venturi – che l’attività ricerca è libera in Italia”. Detto questo, conclude, “ora non cambia nulla di quel che è stato fatto. L’unico danno è per il San Matteo non dar corso alla convenzione. E non incassare le royalties per un’attività già conclusa, fondi vincolati alla ricerca pubblica”. Ma il danno è soprattutto per la ricerca italiana. Che ha sempre avuto pochissime risorse economiche a disposizione. E ora le vengono sottratte anche queste.