Strage di Bologna, il castello di menzogne rischia di crollare e ripartono piste campate in aria

7 Mag 2020 10:36 - di Gabriele Adinolfi
strage di bologna

Il quarantennale castello di menzogne edificato intorno alla strage di Bologna rischia di crollare, ed ecco che a qualcuno saltano i nervi. Così ripartono piste fasciste campate in aria. Il servizio di Report “il virus nero” è stato ampiamente stroncato sulle colonne di questo giornale. Non sta in piedi da nessun punto di vista. Per il personaggio su cui è stato impostato tutto (l’inglese Ray Hill) su cui torneremo in seguito; per lo scoop del tal Enrico Maselli che non sarebbe stato mai interrogato (questo il “clamoroso errore” destinato a riaprire le indagini) e che invece lo fu dal capitano Giraudo nel 1992; per i presunti soldi di Odessa (e della P2) ricevuti da Metting Point.
Nel suggerire questa chiave di lettura degna di un pessimo film, si dimentica che Licio Gelli e i vertici del Sismi pidduista furono condannati per calunnia nei confronti di Roberto Fiore, di Giorgio Vale e del sottoscritto, per aver costruito ai nostri danni l’operazione “Terrore sui treni”.

Meeting Point venne fondata nel 1986, cinque anni dopo che Roberto e Massimo erano giunti a Londra e quattro dopo che la Corte ne aveva rifiutato le estradizioni. Prima di far partire quell’impresa di successo avevano lavorato come camerieri, guide turistiche e autisti di Cab (gli antenati degli Uber). Nessun mistero e nessuna clandestinità. Gelli & co, che avevano cospirato per incolpare noi della strage, erano stati intanto condannati proprio per questo e pretendere che intendessero finanziare quelli che volevano distruggere è a dir poco ridicolo. Per la cronaca, quel tentativo pidduista di nostra incriminazione non fu il primo né l’ultimo. Nel 1992 io fui addirittura oggetto di un terzo.
Perché allora un can can così ridicolo, viene da chiedersi?

La risposta la possiamo forse dedurre grazie a un articolo del blog Contropiano, un sito di amici di Achille Lollo, che quasi in contemporanea con il servizio di Report affermava spudoratamente che il primo depistaggio sarebbe venuto nel 1983 da Stefano Delle Chiaie in quanto il leader di Avanguardia Nazionale parlò in un’intervista del mistero che accompagnava la figura di un giovane di sinistra morto a un passo dall’esplosivo: Mauro Di Vittorio.

Benché la sua figura sia stata messa sotto i riflettori dall’allora onorevole Raisi, non trattandosi in modo inequivocabile di un terrorista, raramente viene tirato in ballo come Kram e Marra, presenti acclarati a Bologna il 2 agosto 1980, la Fröhlich, sulla cui presenza ancora si discute, o come il passaporto di Muggironi.
Perché incaponirsi allora su Di Vittorio, quel ragazzo su cui Lotta Continua si è sforzata per anni di ricostruire il viaggio in Francia mondandolo da ogni sospetto? Forse perché è difficile spiegare come mai si trovasse alla stazione di Bologna se rientrato in treno dalla Francia per Roma (la linea ferroviaria che si percorre è la tirrenica) e anche per quale ragione indossasse dei pantaloni di velluto ai primi di agosto, quasi che avesse effettuato un viaggio in quota. Intendiamoci: io non accuso il Di Vittorio di essere stato l’autore della strage, d’altronde non penso che la colonna rossa che s’incontrò a Bologna intendesse colpire lì. Saltarono in aria per errore o per un cinico sabotaggio? Forse un giorno lo sapremo.

È però singolare il nervosismo che serpeggia nonché lo strenuo e non richiesto impegno a difendere il Di Vittorio che non è a il momento il maggior indiziato per quello che accadde alla stazione. Questo ci deve far riflettere perché noi ricostruiamo ma tra loro qualcuno sa esattamente quello che deve coprire.
Un certo mondo è preoccupato. Dicevo che sarei tornato sulla figura del Ray Hill, che comunque si è ben guardato dal muovere accuse precise a Fiore e Morsello, accontentandosi di fare illazioni. Si tratta di uno xenofobo inglese pentito, arruolato in Sud Africa da precisi ambienti dell’intelligence, che si ritrovò coinvolto in un non troppo chiaro progetto stragista a Londra nel 1981. Un complotto sventato e non perseguito perché, per la legge inglese, un progetto fino a quando è un’ipotesi non è un fatto. Questa enigmatica figura si mise in seguito a muovere accuse strampalate, ma mai precise, a Roberto e Massimo, insieme alla troupe dei trozkisti di Search Light (una sorta di Report).
Questi ambienti li ritroviamo mobilitati di nuovo, adesso, nell’intento di fissare le indagini ancora e sempre nella stessa direzione. Ma la novità che si percepisce e che si respira perfettamente è che stavolta a muoverli è l’inquietudine, forse l’angoscia. Devono trovare il modo di difendere i loro e la propria rispettabilità

Come ebbe a dire Massimiliano Mazzanti in chiusura dell’incontro pubblico che organizzai a Roma lo scorso ottobre per parlare proprio della strage, ora sono loro che si difendono perché siamo noi che attacchiamo.

E, a differenza loro, lo facciamo con dati, elementi e prove e non con deliri e calunnie.

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