In Israele si lotta uniti contro il virus: «Senza medici arabi la nostra sanità crollerebbe»
Ha fatto registrare più di seimila contagi l’epidemia in Israele. Un numero abbastanza alto se rapportato alla popolazione complessiva. Ma la notizia è un ‘altra. E forse potrebbe fornire un’occasione di distensione con la comunità palestinese. Infatti, gli ospedali in prima linea nel fronteggiare l’emergenza registrano una forte presenza della comunità araba. Si tratta di medici, infermieri e personale addetto ai servizi come i custodi, gli addetti alle pulizie e alla manutenzione. Un articolo del quotidiano Haaretz ha illustrato i dati ottenuti dal ministero dell’Interno. In Israele è di origine palestinese il 17 per cento dei medici, un quarto degli infermieri e addirittura la metà dei farmacisti. Senza di loro, sottolinea Haaretz, «il sistema sanitario crollerebbe».
Il quotidiano Haaretz: «In Israele il 17% dei medici è palestinese»
A far rimbalzare la notizia, iI francese Le Monde. Il quotidiano d’Oltralpe si è fatto però portavoce delle denunce di «attacchi razzisti» di cui sarebbero oggetto i deputati di origine araba alla Knesset, il parlamento d’Israele. Dopo le elezioni del 2 marzo, la Lista unita dei partiti arabi si è affermata come terza forza politica. Un risultato più che lusinghiero che ha spinto il partito Blu e bianco di Benny Gantz a proporre un’alleanza d’opposizione per formare un blocco compatto rispetto alla maggioranza. Da allora, scrive Le Monde, gli avversari accusano i deputati arabi di «sostenere il terrorismo» e di essere loro stessi «terroristi in giacca e cravatta».
Negli ospedali non entrano le polemiche della Knesset
«Combattiamo contro due virus: il Covid-19 e il razzismo», ha dichiarato Ahmad Tibi, tra i leader della Lista. «Il primo – ha aggiunto -, lo batteremo. Per il secondo ci vorrà più tempo». Polemiche che «danno fastidio», ammette l’israeliano Naela Hayekma. Nell’ospedale Hadassah di Gerusalemme, Hayekma dirige 250 tra infermieri e infermiere nel reparto di terapia intensiva, tra cui ci sono anche tanti arabi. «Ma che – aggiunge – nel nostro ospedale non entrano perchè qui si lavora tutti insieme». Il suo reparto è sotto pressione, ma lotta unito contro il virus.