Apr 16 2020

Aldo Di Lello @ 15:44

Goffredo Parise, le trasformazioni italiane osservate da un “irregolare”

“I ragazzi non  conoscono più niente,  non  conoscono la qualità delle cose necessarie alla vita, perché i loro padri l’hanno voluta disprezzare nell’euforia del benessere” Questa è una frase estrapolata dall’articolo dal titolo “Il rimedio è la povertà” comparso il 30 giugno 1974 sul Corriere della Sera. La firma dell’ articolo, è dello scrittore, poeta e sceneggiatore Goffredo Parise. La motivazione più accreditata, alla stesura dell’approfondimento, risiede nell’intendimento dell’estensore, di andare in “soccorso” dell’amico Pier Paolo Pasolini.

L’autore  di “Ragazzi di vita”, da tempo aveva inquadrato nel suo mirino di critica e denuncia lo snaturamento strutturale che l’affermarsi “della società dei consumi” stava provocando.  Ciò gli aveva  creato più di un ostilità. Parise, era più piccolo di alcuni anni di Pasolini,  era nato a Vicenza l’8 dicembre del 1929. Apparteneva quindi,  alla generazione che più direttamente si troverà coinvolta,  nella trasformazione   impetuosa, dell’Italia da Paese Agricolo a Paese industriale.  Tutto l’articolo, cui si fa riferimento,  è permeato da spunti di antica saggezza.  Quella di saper conoscere le cose, saper dare loro il giusto valore, individuarne l’effettiva necessità. Insomma, senza che sia esplicitato chiaramente, nell’articolo fa capolino l’antica saggezza contadina. Elemento, che in una fase, gli anni “70, di complessiva contrapposizione ideologica, politica e sindacale, restava negletto e residuale.  Lo scrittore vicentino era un impolitico. Il contenuto di quello che scriveva era frutto del suo  acuto senso di osservazione della realtà. Scevro  da condizionamenti ideologici, quindi il più aderente possibile a una sempre auspicabile realtà oggettiva. Pochissima polvere si è andata a depositare su quel “pezzo”.

Le drammatiche vicissitudini che hanno colpito noi e il mondo intero, lo rendono attuale. Non si può dare tutto per scontato. La salute, la libertà personale di movimento, il benessere. Certezze che si davano per acquisite,  spazzate via in un sol colpo, da una Guerra  improvvisa con la quale non si era preparati a misurarsi. La quale sta provocando una serie impressionante di lutti e dolori. Riportare oggi  all’attenzione l’articolo di Parise,  è un invito alla riflessione  Etica e Morale, categorie di pensiero alle quali, la pandemia ci ha severamente riportati. Sotto tutti i punti di vista. Non pensiamo che in discussione sia il “consumo in sé”, che è, e rimane indispensabile strumento di sviluppo, ma la responsabilità meno casuale e maggiormente motivata confronto ad esso.  Le problematiche a noi contemporanee, ci impongono di cercare e trovare un equilibrio tra priorità dell’investimento pubblico e  di quello privato.  Tematica articolata e complessa, le cui risposte da dare sono in evoluzione. Certo è, che la pandemia ha evidenziato limiti e contraddizioni della “globalizzazione”.

Goffredo Parise fu un reporter autorevole del  Corriere della Sera. Testata per la quale fece servizi dalla Cina, Stati Uniti, Vietnam. Quello che riuscì a fare dal Laos fu un vero e proprio scoop, la sua corrispondenza fu un esclusiva mondiale. “Lungo la pista di Ho Chi Min”, unico punto di  passaggio di materiale logistico per  i Vietcong, con i quali riuscì a fare accettare la sua presenza fra loro.  Importante, per la sua capacità di interpretare il futuro,  una corrispondenza da Parigi nella quale preconizzava a proposito dell’integrazione della comunità musulmana: “ i ferri vanno arroventandosi e Parigi cova in seno i futuri ribelli”.  In tempi non sospetti  il reporter aveva colto un punto nevralgico, che si estenderà a gran parte dell’Europa.

Negli anni “50 cominciò a pubblicare dei suoi romanzi. “Il ragazzo morto e la cometa” fu il suo libro d’esordio. Nel 1953 pubblica il romanzo “La grande vacanza” opera che riceve una lusinghiera recensione di Eugenio Montale sul Corriere della Sera”. Avendo ottenuto lavoro, presso la casa editrice Garzanti, si trasferisce da Venezia a Milano. Città dove ebbe l’opportunità di conoscere Leo Longanesi. Quest’ultimo, deus ex machina  di tante vicende culturali di quel periodo, lo esortò a non abbandonare la narrativa. Parise, seguì l’incoraggiamento. Nel 1954 pubblicò “Il prete bello”. Con questo lavoro lo scrittore vicentino,  ottenne attenzione e plausi rilevanti in Italia e all’estero. Il libro infatti ebbe decine di traduzioni in altre lingue.  Aveva solo venticinque anni, quando la sua vita andò a incrociarsi con la notorietà.

Questa esperienza, fu il trampolino di lancio per consolidare amicizie con personaggi di primo piano della cultura nazionale quali Guido Piovene, Eugenio Montale, Carlo Emilio Gadda. Svolse anche, come fecero scrittori di quel periodo,  attività di sceneggiatore per il cinema. Collaborò in questa veste con registi quali Luciano Salce, Mauro Bolognini, Tonino Cervi. La consacrazione letteraria avvenne nel 1982. Vinse il Premio Strega con Sillabario. Un racconto in prosa poetica, che prendendo ogni singola lettera dell’alfabeto, la sviluppa secondo il sentimento del quale può essere iniziale. Cominciando con la lettera A incontreremo Amore, Amicizia etc.  In “Sillabario”, sono raccolti brevi racconti, sui sentimenti essenziali, che saranno pubblicati in quegli anni dal Corriere della sera. “ Gli uomini d’oggi, secondo me hanno più bisogno di sentimenti  che di ideologie”,da questo principio trova spunto questo suo lavoro al quale fu assegnato il prestigioso e ambito riconoscimento.  Principio, che soprattutto in quelle temperie politiche e  culturali, fa di questo autore un ”irregolare” a pieno  titolo. Decise di ritirarsi, nella sua casa di Salgaredo, nel trevigiano. Vicino alle rive del Piave . Ci abbandonerà il 31 agosto 1986. Il progetto di “Sillabario” doveva riguardare tutte le lettere dell’alfabeto dalla A alla Z. L’autore arrivato alla lettera S di solitudine non ce la fece a proseguire. “La poesia mi ha abbandonato. E a questa lettera ho dovuto fermarmi. La poesia va e viene vive e muore quando vuole lei, non quando vogliamo noi e non ha discendenti”. L’onestà intellettuale di Goffredo Parise riluce in questa dichiarazione. Pensiamo che questa era  la linea del  Piave della sua creatività. Chissà quanti avrebbero avuto la sua stessa limpida fermezza.