Angeli e demoni nelle pestilenze: così la letteratura ha esorcizzato la paura delle epidemie

1 Apr 2020 10:59 - di Massimo Pedroni

Con implacabile costanza, dalle spire della Storia dell’Umanità, si affaccia con sembianze mutevoli, la severa minaccia di un qualche morbo. Generalmente irrompe sconosciuto e improvviso. Nuovo. Misterioso nella causa della sua origine, e imponderabile negli effetti. Tutto da scoprire e capire. Per tentare di identificarlo, batterlo e sconfiggerlo. Questione impegnativa e dagli esiti incerti. Intorno all’esplosione di un epidemia, si accendono e si propagano nelle comunità paure, inquietudini, sospetti. Tante domande affiorano nell’intimo di ognuno, per cercare di capire. Proposte, spesso dissonanti tra loro, volte a venire a capo delle terribili situazioni, si sovrappongono. Alimentando confusione e incertezze. Suscitando e portando alla luce, ansie profonde, paure e angosce sociali e individuali. Sensazioni, che in circostanze simili, si sviluppano anche in maniera irrazionale. In alcuni casi completamente irrazionali. Situazione nella quale ci troviamo a dover fare i conti,con le nostre fragilità. Quelle più ostiche dal dover fronteggiare.

Si spalanca così il baratro, della ricerca di “chi” o “cosa”, è stato il responsabile di tanto scempio. Lo scenario emotivo, si dispiega su percorsi di dolore e lutto. Come avremo modo di evidenziare, talvolta la ricerca “vira”, dall’identificazione del colpevole a quella di “un colpevole”. Stati d’animo articolati, complessi, che coinvolgono, ovviamente, anche gli artisti. Essi sono presenti da sempre in queste drammatiche vicende. Ne lasciano testimonianza con i loro strumenti, cultura, talento non disgiunto da una spiccata sensibilità. In prima fila, a dare il loro partecipato contributo. Spesso il ruolo che si ritagliano, si colloca nello spazio a metà tra il cronista e lo storico,   del poeta che cerca di sublimare e trasfigurare il dolore in qualche modo, cercando di renderlo sopportabile. Tratteggiando scenari di un domani possibile e migliore.

L’ultima epidemia,in ordine di tempo dalla quale fu dilaniato il mondo Occidentale fu la cosiddetta “Spagnola”. Drammatico evento che dispiegò gli effetti verso la fine della prima Guerra Mondiale. Essa ebbe un impatto tremendo. Il numero di decessi furono valutati approssimativamente al di sopra dei cinquanta milioni. La Spagna non aveva nulla a che fare con la sciagura. Non partecipando al conflitto in essere, i suoi mezzi d’informazione non avevano limiti derivanti dalla “censura di guerra”. Potevano quindi denunciare lo stato delle cose, ossia denunciare l’epidemia in corso. Contrariamente agli effetti che sta drammaticamente causando il Coronavirus  la Spagnola, fece più vittime tra i giovani che gli anziani.

La peste è protagonista, in due opere fondamentali della nostra letteratura “Il Decamerone” di Boccaccio e, “I promessi sposi” di Alessandro Manzoni. Nel caso dell’opera di Boccaccio, l’epidemia che si stava accanendo nel “Trecento a Firenze, fa da sfondo alla narrazione. I giovani protagonisti infatti si erano rifugiati in una Villa di campagna per tentare di evitare il contagio. Nei “Promessi sposi”, Manzoni inserisce l’epidemia di peste che imperversò nella Lombardia del “ 600, tra le dinamiche fondamentali del suo romanzo. Luoghi nei quali per un crudele gioco del destino l’epidemia a noi contemporanea si sta manifestando con modalità particolarmente aggressive.

“Nella Colonna infame” sempre del Manzoni, che dopo vari ripensamenti ebbe vita autonoma, rispetto al suo più celebre romanzo, scagiona in maniera postuma due persone che furono condannate a morte ingiustamente all’epoca quali presunti diffusori del virus.   Furono dichiarati colpevoli, sulla base di prove infondate. Erano stati implacabilmente accusati da una popolana. La donna scatenò sui due l’insinuazione, provocando la condanna dei due poveri sciagurati. Questo poté avvenire nel quadro di “caccia agli untori”, cosa tipica di simili periodi. L’incertezza, che spesso accompagna fasi iniziali dell’epidemie, consiste proprio nelle modalità di contagio.

Testimonianza dell’epidemia di colera del 1835 1837, dalla quale fu investita la penisola ci viene data dal poeta romano Gioacchino Belli nel suo “Er collera mòribbus”. Opera scritta in dialetto romanesco, ancora non addolcito da una sua certa “italianizzazione” sopravvenuta dopo il conseguimento dell’ Unità. “Converzazzione a l’Osteria de la Genzola Indisposta e ariccontata co trentaquattro sonetti e tutti de grinza”, in questi sonetti l’autore, raccoglie timori non dissimili da quelli di oggi. Come riportato dal Belli, le persone si interrogavano: “Morire di malattia o di fame”. Paura ulteriore dettata dalle forzate “distanze sociali”, necessariamente imposte anche in quel frangente. A Giacomo Leopardi, che si trovava a Napoli, il colera fu fatale. Per avere percezione più completa di quel disastro, le vittime a Roma furono più di 5000, a fronte di una popolazione di 150.000 individui.

In alcuni casi, nell’opera di alcuni scrittori il “morbo” diventa vettore metaforico, di “mali dell’anima di un epoca”. E’ il caso di “La peste” di Albert Camus, “Cecità” di José Saramago. Autori entrambi Premi Nobel per la Letteratura.

Nelle epidemie, c’è sempre qualcosa di sfuggente misterioso. Episodi governati in una certa misura dalla casualità. O almeno di quello che ai nostri occhi può apparire tale. Ma al termine di esse, della fase dolorosa e luttuosa, seguirà, come sempre avvenuto, la fase della rinascita e della rigenerazione. Non ha mai vinto il “morbo”. La vita è più forte. Lo batterà anche questa volta.

Magari come nel 590 d.C. , quando Papa Gregorio Magno indisse una processione, volta a far cessare l’epidemia in atto. Giunti all’altezza del   sepolcro di Adriano, comparve la figura dell’Arcangelo Michele nell’atto di rinfoderare la spada   L’apparizione dell’Angelo nel compiere quel gesto, fu interpretato come la cessazione della peste. E così fu. Da allora il sepolcro di Adriano, a seguito dell’evento si chiama Castel Sant’Angelo. E diffusa credenza in alcuni, che dietro queste sciagure spunti la coda del Diavolo. Non sappiamo dire. Ci è sufficiente, e diciamolo rassicura, ricordare gli interventi degli Angeli in tali frangenti..

 

 

 

 

 

 

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