Omicidio Raciti, effetti collaterali del coronavirus: scandalosa scarcerazione di Speziale

18 Mar 2020 12:39 - di Redazione

«A soli pochi giorni dalla pubblicazione del “Cura Italia”, ecco le prime rivendicazioni. Tra queste, ai sensi dell’art. 119, la richiesta del legale difensore di Antonino Speziale, di concedergli i domiciliari, in vista del fine pena fissato a cavallo tra settembre e ottobre di quest’anno. Noi non ci stiamo, non sia vanificato il sacrificio di un servitore dello Stato».

Commentano così, Celestino D’Angeli e Patrizia Massimini, vertici dell’associazione Nuova Difesa, la richiesta avanzata al Magistrato di sorveglianza di Caltanissetta, dal legale di Antonino Speziale, in carcere per l’omicidio preterintenzionale dell’Ispettore Filippo Raciti, morto nel febbraio 2007 durante gli scontri per il derby Catania – Palermo. Un suo complice era stato liberato due anni fa. Stavolta c’entra il coronavirus e l’emergenza nelle carceri.

«In questo momento – proseguono D’Angeli e Massimini – il nostro pensiero è più che mai rivolto alla famiglia dell’ispettore Raciti. A loro la nostra incondizionata vicinanza. Il nostro auspicio – concludono – è che l’emergenza coronavirus non diventi occasione di fuga per chi merita di scontare la propria pena in carcere, vanificando il lavoro e il sacrificio delle Forze dell’Ordine».

Chi era Filippo Raciti

Nato a Catania nel 1967, Raciti era entrato in polizia nel 1986. Viveva ad Acireale con la moglie Marisa Grasso e i figli Fabiana e Alessio. Il 2 febbraio 2007, circa due ore circa dopo la fine dell’acceso derby tra Catania e Palermo, subì un fortissimo colpo contundente che gli causò un trauma epatico mortale. Qualche anno fa la vedova dell’ispettore, in un’intervista aveva raccontato gli anni del dolore “costante”. “In questi dieci anni con i miei figli abbiamo fatto un cammino costruttivo, siamo più sereni ed è meno pesante il ricordo del peso del sacrificio di mio marito. Affrontiamo tutto con tanto rispetto e tanta testimonianza affinché quello che è capitato non venga dimenticato e che non accada mai più».  Il perdono? «In questi anni – aveva detto Marisa Grasso – ci sono state anche tante situazioni di amarezza. E quindi mi hanno dimostrato che non c’è un atto di pentimento. Conosco la strada del perdono e credo di essere una persona predisposta a concederlo. Ma, ribadisco, non credo lo meritino…».

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