Il digital divide: da noi mercato, servizi e norme fermi da tempo. Ecco cosa rischiamo
10 Mar 2020 12:42 - di Maurizio Gasparri
Ero stato facile profeta quando, da ministro delle Comunicazioni, posi con insistenza il tema del digital divide in Italia. Oggi, in tempo di coronavirus, di scuole chiuse e di didattica a distanza, questo problema torna prepotentemente alla ribalta sotto due profili. Il primo riguarda l’aspetto infrastrutturale, il secondo quello dei servizi. Ci sono zone del nostro Paese in cui è perfino difficile parlare al cellulare. In cui ci si connette con tempi da bradipo o dove, addirittura, la rete internet non è mai arrivata.
Gasparri, il digital divide: mercato, servizi e norme fermi da tempo nel nostro Paese
Da ministro mi battei per realizzare quell’autostrada che fa camminare internet veloce con la banda larga. Ci furono diversi finanziamenti del Cipe, ma anche dei fondi europei ad hoc che riuscii ad ottenere durante il semestre di presidenza italiano. Fondi che erano destinati a coprire il digital divide soprattutto del Meridione. Ho regolato il mercato introducendo norme che hanno aiutato a garantire un accesso alla rete anche a piccole realtà, con l’obiettivo di scardinare il monopolio di chi non considerava conveniente investire in queste infrastrutture in alcune zone d’Italia. Purtroppo, però, la situazione del Paese si è arrestata. Anche dal punto di vista dei servizi.
Il pericolo di un gap digitale che può creare disuguaglianza anche didattica
Non c’è inclusione digitale e dilaga un analfabetismo spaventoso. In troppi credono che lo smartphone serva solo per postare foto sui social o farsi i fatti altrui su Facebook. In troppi si trovano totalmente impreparati di fronte alle lezioni a distanza resesi necessarie di questi tempi. Il pericolo che questo gap digitale si trasformi in una disuguaglianza anche didattica è concreto. Non possiamo permettere che solo i ragazzi che hanno un pc a casa, una connessione veloce e magari un genitore nativo digitale, sia al passo con l’innovazione. Il rischio che si profili una nuova povertà educativa è concreto. Un governo serio dovrebbe occuparsi anche di questo. E non è quello che abbiamo.