Il decreto “Cura Italia” è una risposta inadeguata e tardiva al coronavirus
Siamo alle solite: c’è la necessità di offrire una risposta urgente ed efficace, ma questa arriva tardivamente ed incompleta; come sempre, purtroppo. È innegabile che sia accaduto ancora, Lunedì, con l’approvazione del “Decreto cura Italia”.
Si attendeva, infatti, per Domenica 15 Marzo, la convocazione del Consiglio dei Ministri, affinché approvasse l’atteso Decreto Legge n. 18, quello decisivo, con le necessarie misure sanitarie ed economiche, per fronteggiare l’emergenza e la crisi provocata dal Covid-19. È stato, invece, rimandato a lunedì 16 Marzo, quindi lo stesso giorno della scadenza di alcuniimportanti adempimenti fiscali: coincidenza di per sé sufficiente a generare confusione nei contribuenti e nei professionisti che necessariamente li assistono. E così, presentandosi anche discriminatorio, manifesta le sue iniquità in particolare per l’aspetto tributario (in tema di Giustizia, si tornerà meglio oltre), sul qualeci sisofferma per alcune brevi considerazioni.
Per leggere la stesura definitiva del D.L: “#CuraItalia”, che ha sicuramente imposto uno sforzo notevole al Governo, riveduto e corretto si è dovuto attendere la pubblicazione (immotivatamente ritardata) in Gazzetta Ufficiale, il giorno 17, ma resa visibile solo oggi.
I versamenti del 16 marzo, dunque, rinviati. Ma in modo differenziato; per alcuni di soli quattro giorni, per altri, ma non per tutti, al 31 maggio o, al limite, con una dilazione massima di cinque rate. Come se fosse certo che la riapertura delle attività avvenga nei tempi ipotizzati nel precedente decreto #iorestoacasae che la ripresa del lavoro comporti automaticamente l’incasso della necessaria liquidità.Non si comprende sa la misura sia stata ispirata da un ottimismo (ingiustificato) o, peggio, dallo scollamento dalla realtà.
Ma questo aspetto passa decisamente in secondo piano, rispetto alle misure assunte con riferimento alla macchina fiscale, apparentemente messa a riposo.
Norme convulse (come l’art. 67, ad esempio), nelle quali vengono accostati argomenti eterogenei, la cui lettura induce il mal di testa, in particolare, agli addetti ai lavori. Si capisce che sia stata disposta una sospensione delle attività di accertamento di riscossione e di contenzioso da parte degli Uffici finanziari, per il periodo 8 Marzo – 31 Maggio (quindi poco meno di tre mesi). La sospensione dei termini, per la notifica dei ricorsi tributari (come per gli altri comparti della Giustizia ordinaria ed amministrativa) è circoscritta in un diverso e più contenuto limite temporale: 8 Marzo – 15Aprile.
Si intuisce, non essendo espressamente indicato, con sorpresa ed anche timore, che non tutte le attività difensive del contribuente possano essere rinviate. Intanto occorre evidenziare come la scelta di differenziare i termini possa generare confusione, soprattutto tra gli operatori (con ciò intendendosi i difensori tributari). Risulta assai difficile comprendere il motivo per il quale – e qui si entra nel tecnicismo puro – sia stata disposta la sospensione delle sole attività (difensive) giurisdizionali, con ciò intendendosi quelle dinnanzi le Commissioni Tributarie; nella versione defintiva (art. 83), e non anche quelle endoprocessuali. Termine complesso che ingloba tuttigli strumenti deflattivi di cui dispone il contribuente prima di intraprendere il giudizio. Questa omissione induce a ritenere che i contribuenti ed i loro difensori – mentre tutto è sopito – debbano in ogni caso attivarsi, per non veder opporre un diniego da parte degli Uffici finanziari.
La stesura definitiva del Decreto Legge, indubbiamente migliorata rispetto alle precedenti lacunose bozze, contiene ancora misure che comprimono i diritti dei contribuenti, stremati e ristretti ai domiciliari, magari con la conversione in legge verrà posto rimedio.