Gabanelli: «Pronte le app per tracciare i contagiati». Rezza: «La privacy? Una cazzata»

24 Mar 2020 11:34 - di Mia Fenice
Gabanelli

C’è un modo per fermare il contagio e usare le tecnologie. Milena Gabanelli nella sua rubrica Dataroom sul Corriere della Sera spiega in un video che l’uso delle celle telefoniche per tracciare i contagiati seguendo l’esempio della Corea del Sud funziona. «Cosa dice l’Oms sulla procedura per fermare il coronavirus: individuare il contagiato, testarlo, isolarlo e tracciarne tutti i contatti. È il modello usato dalla Corea del Sud – spiega la Gabanelli nel video pubblicato sul Corriere – che ha messo a disposizione delle autorità sanitarie e forze di polizia la tracciatura dei cittadini, ottenuta attraverso le celle telefoniche, e una applicazione che informava i cittadini sul loro stato di rischio, e forniva indicazioni sui comportamenti. Così è stata ricostruita la rete dei contatti di ciascun contagiato, che oggi vanno via via azzerandosi. Primo focolaio il 2 febbraio, scatta subito la quarantena per tutto il Paese e viene messa a disposizione dell’autorità sanitaria e di polizia la tracciabilità di ogni cittadino attraverso le celle  telefoniche che catturano lo spostamento di ogni singolo telefonino. In questo modo sai di ogni caso positivo chi ha incontrato e dove  nelle ultime due settimane e scatta in questo modo il tampone casa per casa».

Gabanelli, seguire l’esempio della Corea

Dice ancora Milena Gabanelli: «Sistema reso  più preciso  l’11 febbraio quando il governo distribuì milioni di app scaricabili dallo smartphone. Risultati dall’inizio della tracciatura: in due settimane  i contagi sono passati da 800 a 80 al giorno e oggi si stanno via via azzerando. E alcune attività sono ripartite. Possiamo farlo anche noi. Migliaia di asintomatici continuano a infettare a loro insaputa.  Le compagnie telefoniche tracciano già tutto. Oggi i carabinieri potrebbero vedere chi è in quarantena e si sposta. Per quanto riguarda le app sono già pronte e sono sul tavolo dell’Iss e del governo e in grado di informare chiunque sul proprio stato di rischio e a fornire anche indicazioni sull’orario quando è meglio andare a fare la spesa o prendere la metro  evitando gli affollamenti». Gabanelli spiega che l’anonimato sarebbe «garantito e distruzione dei dati quando l’incubo sarà finito. Con una persona incaricata di gestire  la cosa e assumerne la responsabilità. La decisione è solo politica: il nostro è il primo grande test di pandemia  in un paese democratico. Possiamo farcela  se non ci incartiamo sulla privacy».

La app “Sm-Covid19”

Nell’articolo sul Corriere poi Milena Gabanelli spiega dettagliatamente  che «in un documento, già sul tavolo del governo e dell’Iss, un gruppo di economisti e scienziati dei dati, tra cui Carlo Alberto Carnevale Maffè della Bocconi ed Alfonso Fuggetta del Politecnico di Milano, ha proposto di replicare il modello Corea. Il team di specialisti di SoftMining, una spin-off dell’Università di Salerno, ha sviluppato un’app denominata “SM_Covid19” in grado di valutare il rischio di trasmissione del virus attraverso il monitoraggio di chiunque sia positivo. Gli ospedali potrebbero così leggere i dati di rischio e aggiornare lo stato di una persona (negativo o positivo al test). Se risulta positiva al test, il rischio di ogni altra persona con la quale questa sia venuta in contatto viene aggiornato automaticamente».

Tracciatura dei movimenti, Rezza (Iss): «La privacy, sono c…»

E quanto detto dalla Gabanelli è confermato da Gianni Rezza, direttore del dipartimento malattie infettive dell’ Istituto superiore di sanità. Intervistao da La Stampa dice: «Va bene aver chiuso fabbriche e uffici ma bisogna adottare il metodo coreano per rintracciare e isolare i positivi. Anche mappando gli spostamenti con il Gps dei cellulari». E la privacy? «Lo scriva per favore, sono c…, siamo in guerra e bisogna rispondere con tutte le armi che abbiamo».

Commenti

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  • Francesco Ciccarelli 24 Marzo 2020

    Questi controlli sembrano necessari, ma ci espongono al rischio di essere spiati tutti come non riusciva nemmeno la Stasi della DDR! Le tecnologie sono già invadenti e chiunque se ne rende conto. Chi ci garantisce che si torni alla normalità, una volta passata l’epidemia?