“Delocalizzare è tradire l’Italia”: rock dalla quarantena contro chi “ha distrutto la Nazione”
“Cancello chiuso, cappello in mano, ecco il miracolo italiano”. Basta la prima strofa e Delocalizza, canzone del gruppo rock Lucilio s’è smarrito Seneca, di fatto ha già detto tutto. Potenza di parole ben assestate, amplificata da musica e immagini che non sono da meno. Registrato in quarantena, con il supporto di filmati d’archivio e il contributo dei fan, e rilasciato ieri sui canali social e youtube della band, il video è un atto di denuncia quanto mai pertinente durante questa crisi da coronavirus, che ha ha fatto cadere ogni velo sui danni prodotti da certe impostazioni economiche e industriali.
“Delocalizzare è tradire la nazione”
“Avete distrutto la mia nazione”, “Delocalizzare è tradire”, si legge sui cartelli che i fan-comparse tirano su durante il viedeoclip, mentre Claudia Presciutti alla voce, Giacomo Mondini al basso, Antonio Rapisarda alla chitarra e Adolfo Spezzaferro alla batteria suonano la rabbia di un’Italia che ricorda che “il coraggio è un’abitudine” e rifiuta la logica del “consuma e crepa”. “La ricerca del tuo basso costo è una condanna inflitta”, canta Presciutti, mentre alza il cartello con scritto “avete distrutto la mia Nazione”.
Contro la logica del “consuma e crepa”
Intanto, passano spezzoni di desolate scene di produzione industriale, di capannoni dismessi, di manifestazioni di protesta. In particolare quella del sindacato Ugl, proprio contro la delocalizzazione, tanto che il segretario generale Francesco Paolo Capone ha accolto la pubblicazione del video come “Il più bel regalo che ha ricevuto l’Ugl per il suo 70° compleanno”. “Dopo di me altri cento”, è il verso finale del brano, chiude con la stessa forza, sebbene uguale e contraria, con cui aveva aperto.
La delocalizzazione è stata la via obbligata per la sopravvivenza di molte aziende. I traditori non sono quelli che hanno delocalizzato, ma quelli che hanno imposto politiche economiche insostenibili, stritolando imprese e famiglie, nel nome supremo di un’Europa che ha sacrificato questa Nazione sul sacro altare dell’interesse di alcuni Paesi;
il tutto condito da direttrici tese a soffocarci, forse per il solo gusto di mortificare le
innumerevoli eccellenze di un Paese che resta ineguagliabile.
Sarebbe lungo e tedioso riportare le iniziative del vecchio continente che ci hanno asfissiato. A me sono restate nella mente la vicenda delle quote latte, la demolizione sistematica del nostro comparto alimentare, fino ad arrivare allo scippo chiamato “EMA”, ed all’applauso tributato alla criminale Raketa. Oggi uscire dall’Europa sarà un rimedio forse necessario, ma peggiore del male. Non dimentichiamo infatti, che poi le nostre esportazioni saranno gravate da oneri doganali, che ne comprometteranno la competitività sui metcati. Ma a questo punto di non ritorno, ci ha condotto una sinistra cieca e servile, che dovrà rendere conto alla Storia delle sue azioni folli, vili ed autodistruttive.