Menia a Bari e al campo profughi di Altamura per il suo libro “10 febbraio, dalle foibe all’esodo”
8 Feb 2020 15:14 - di Elsa Corsini
«Da domani inizia la mia corsa in lungo e in largo per lo Stivale». Così su Facebook di Roberto Menia annuncia il tour per la presentazione del suo libro “10 febbraio, dalle foibe all’esodo” (I libri del Borghese). «Tappe a Verbania, Vittoriale, Bari, Fermo, Pescara, Stornarella, Lavello … e non finisce qui».
Menia a Bari per il suo libro sulle foibe
L’ex deputato, padre della legge che istituito il Giorno del Ricordo nel 2004, sarà nel capoluogo pugliese mercoledì 12 febbraio alle ore 19, presso la Fondazione Tatarella, in via Piccinni. Oltre all’autore saranno presenti Fabrizio Tatarella, Paolo Scagliarini e il giornalista Francesco De Palo, direttore di Primadituttoitaliani.com.
In serata Menia visiterà il campo profughi di Altamura. L’iniziativa di Bari segue la presentazione ospitata dal Senato lo scorso 5 febbraio con Ignazio La Russa, Marcello Veneziani e Gennaro Sangiuliano. La tappa a Trieste con Pietrangelo Buttafuoco e quella presso il consiglio regionale della Toscana con il governatore Enrico Rossi.
«Per ridare agli italiani la memoria di una tragedia incompresa»
«Dopo la mia legge che ha fatto nascere il Giorno del Ricordo, mi sono chiesto cosa potessi fare di più per dare giustizia a migliaia di infoibati e di esuli istriani e dalmati. E senza la presunzione di essere uno storico ho iniziato a raccogliere testimonianze. Ormai – dice Menia, figlio di una esula istriana – non c’è quasi più nessuno tra quelli che subirono 75 anni fa la violenza cieca delle foibe. Col loro carico di morti senza croce. E pochi ormai sono anche quelli che dettero vita ad un esodo biblico di 350.000 persone. Che fu un plebiscito di italianità e libertà. Esuli che si sparsero in 117 campi profughi in Italia. Da Trieste a Termini Imerese, da Altamura a Laterina. E finirono poi magari nelle lontane Americhe o nella ancor più lontana Australia».
«Per ricucire i fili strappati della storia»
Oggi – dice l’ex parlamentare – tocca ai loro figli, e io sono uno di questi, conservare quel che loro è stato donato. Ridare agli italiani, tutti gli italiani, la memoria di quella tragedia incompresa. E ricucire i fili strappati della storia. Oltre l’Adriatico restano le pietre, le arene ed i leoni di San Marco. A testimoniare la nostra italianità antica. E mi piace ricordare – conclude Menia – padre Dante che cantava nell’Inferno “sì come a Pola, presso del Carnaro ch’Italia chiude e i suoi termini bagna…”». «Convenienze politiche di ordine interno e internazionale indussero a cancellare dalla coscienza e dalla conoscenza degli italiani questa grande tragedia nazionale», conclude l’ex parlamentare. «Che non poteva restare una memoria privata confinata lassù alla frontiera orientale. Oggi, e questa giornata ne è la prova, l’Italia si riconcilia. E riconosce il valore della grande prova che i giuliani dalmati seppero offrire».