Marta Branca, la dg dello “Spallanzani”: «Sul coronavirus un successo italiano firmato da donne»
Come sappiamo, i due turisti cinesi che hanno cominciato a sentirsi male in un albergo romano del centro e che hanno indotto il direttore a sospettare che fossero affetti da coronavirus, sono stati ricoverati all’Ospedale Lazzaro Spallanzani, che dalla sua fondazione ha visto di tutto, dalla poliomelite al colera, alla salmonellosi, fino ai virus più recenti.
Ne parliamo con il Direttore generale di questo che attualmente è il presidio ospedaliero più chiacchierato, forse quello che vorrebbero dirigere in tanti in giorni come questi, la dottoressa Marta Branca. Una donna a capo di una struttura con 150 medici, 250 infermieri, in tutto 685 dipendenti con il personale tecnico, ausiliario e amministrativo e 185 posti letto, in questa autentica eccellenza italiana: «Grande soddisfazione per noi, un’equipe di sessanta persone, quasi tutte donne, tranne due uomini, che ha svolto un lavoro eccezionale e in pochissimo tempo, sintetizzando il virus e dandoci la possibilità di studiare a fondo questa malattia per tutta la comunità».
Tra questi ricercatori ce n’è una ancora precaria?
«La faccenda della ricercatrice precaria va subito chiarita. Aveva un contratto a tempo determinato ma come altri ricercatori sarebbe stata stabilizzata non appena maturati i requisiti e sta per esserlo, infatti, ai sensi delle nuove norme vigenti, grazie al cielo ci sono stati degli allungamenti dei termini nella Finanziaria e quindi è consentito prendere anche coloro che hanno maturato i requisiti in un secondo momento».
La possibilità di isolare il coronavirus così tempestivamente è stata possibile perchè ricoverati i due turisti cinesi, senza i quali questo non sarebbe stato possibile. Una fortuna quasi che questo sia accaduto a Roma, nella disgrazia. Il virus sembra essere identico a quello cinese nel confronto, vero?
«I ricercatori dicono questo, le informazioni della ricerca a livello internazionale poi messe a disposizione non è così scontata. Alcuni Paesi hanno aderito ad accordi internazionali, per cui mettere a disposizione materiali e subordinarsi ad una serie di regole, per esempio di privacy, non è scontato, come l’isolamento di un virus che sia a disposizione per la comunità scientifica. Adesso però, dopo i nostri risultati, c’è questa fase di comparazione e sovrapposizione di dati con quello che si ha a disposizione, per avere informazioni più precise, al fine di produrre la cura, il vaccino».
L’Istituto si è già distinto per aver fatto fronte a numerose altre emergenze, in passato a pandemie o a ricerche su nuovi virus.
«È vero, con la Sars, l’Ebola, l’HiV, la Chikungunya, il Morbillo in tempi recenti. Noi abbiamo ricercatori, clinici, professionisti che lavorano ogni giorno ed hanno il vantaggio di fare un interscambio continuo che non tutti gli ospedali e i centri di ricerca hanno. Un conto è avere solo la parte scientifica o solo la parte assistenziale in una struttura, un conto è averle entrambe. Abbiamo attrezzature molto complesse e tecnologicamente avanzatissime, che ci consentono di fare esami che normalmente non si fanno, quindi una diagnostica specifica; laboratori ad altissimi livelli, che fanno decine e decine di test quotidianamente su campioni che ci vengono inviati da ogni parte d’Italia».
Lei ci tiene molto ad esprimere un concetto che le sta molto a cuore.
«Le donne in ruoli dirigenziali fanno del loro meglio e possono ottenere grandi risultati. Il Capo Dipartimento di Ricerca da noi è una donna, gestisce molte persone. Il Direttore dell’Istituto è una donna e così via. Ci sono dei posti di responsabilità da noi molto ben gestiti, pur facendo una grandissima fatica, più fatica degli uomini a gestire il lavoro e le situazioni di vita personale. Lo voglio sottolineare perchè dev’essere chiaro che le ricercatrici, le dottoresse, per la Sanità fanno grandissimi sacrifici, direi salti mortali e al tempo stesso riescono ad essere molto professionali e competenti».