Il medico di Castiglione d’Adda: «Dormo nel mio studio, in quarantena. Vi racconto la mia odissea»

25 Feb 2020 17:40 - di Redazione
Castiglione d'Adda

«Sono in quarantena con una collega nel mio studio medico a Castiglione d’Adda. Dormiamo qui da venerdì». La cittadina nel cuore della zona rossa lodigiana «fino a oggi non aveva più ambulatori aperti e medici di famiglia che potessero visitare i pazienti. Su 4, uno è ricoverato per coronavirus e gli altri 3 siamo tutti in quarantena precauzionale. Anche la pediatra è in quarantena. Oggi finalmente è arrivato un collega della zona. Si è offerto di sostituire il camice bianco malato, ma non basta. Sono giorni di fuoco. Da venerdì, quando abbiamo dovuto chiudere, abbiamo stazionato in ambulatorio a fare ricette online e rispondere a duemila quesiti che ci piovevano addosso dai nostri assistiti». È il racconto di C. P., medico di famiglia di Castiglione d’Adda. È in quarantena precauzionale da venerdì perché è stata in contatto con almeno una ventina di suoi pazienti risultati positivi al nuovo coronavirus. «Per fortuna condivido questi momenti con la mia collega, ci facciamo compagnia», dice raggiunta al telefono dall’AdnKronos Salute.

Castiglione d’Adda, il medico: «Qui per senso di responsabilità»

La dottoressa tiene a puntualizzare che la quarantena è una forma precauzionale di sorveglianza attiva. È diversa dall’isolamento riservato ai pazienti positivi. «Dormiamo in studio per scelta nostra», spiega. «All’inizio è stato per una protezione verso i familiari. Io per esempio ho figli e aspettavamo l’esito del tampone. Che era negativo lo abbiamo saputo di recente e ora vediamo, aspetteremo forse un paio di giorni. Stiamo qui anche per senso di responsabilità. I nostri assistiti hanno bisogno di noi. Non possono venire in studio, ma siamo qui non stop e rispondiamo alle loro chiamate».

«Tra i miei assistiti tante polmoniti insolite»

Quando il 38enne ricoverato a Codogno ha svelato a tutti la presenza del nuovo coronavirus in Lombardia, il patogeno «circolava già da un po’. I casi sono cominciati ben prima del paziente uno. Io la settimana prima avevo visto tante polmoniti insolite fra i miei assistiti. Buona parte è risultata essere da coronavirus». A raccontarlo è sempre il medico di Castiglione d’Adda. «Nell’ultima settimana – dice la dottoressa – c’era state queste brutte polmoniti, alcune delle quali avevano richiesto ricoveri. Le abbiamo viste nonostante quest’anno l’epidemia di influenza fosse bassa. Però non c’erano particolari allerte. Per il nuovo coronavirus tutto quello che dovevamo fare era chiedere agli assistiti se venivano dalla Cina. E in particolare dall’area a rischio» per la Covid-19.

«Tra i primi ammalati, i medici»

«E non è che in una cittadina piccola come Castiglione d’Adda ci fosse tutta questa ressa di pazienti rientrati dalla Cina. I nostri assistiti quando facevamo la domanda si mettevano a ridere. L’unico protocollo da applicare era quello. È stato assodato che si è trattato di contatti di secondo o terzo livello. Addirittura per il caso indice non si è capita la fonte del contagio». In pochi giorni si è assistito all’esplosione di casi positivi. «E fra i primi ammalati ci sono medici. Questo è indicativo: non è che in 10 minuti di visita lo prendi. Il virus girava già, almeno da una settimana, dieci giorni».

I momenti cruciali a Castiglione d’Adda

Le precisazioni, continua la dottoressa, sono d’obbligo. In questi giorni il suo nome è rimbalzato su Facebook e poi di chat in chat. Dopo che il caso del 38enne ricoverato all’ospedale di Codogno ha svelato la presenza del nuovo coronavirus nel Lodigiano, ci sono stati momenti concitati. «Panico totale: assistiti che intasavano i centralini allarmati da voci circolate online. Sono arrivati a scrivere che ero positiva, quando ancora non avevo neanche fatto il tampone. Mi hanno chiamato pazienti che non vedevo da un anno, abbiamo perso tempo prezioso. Anche questo ha ritardato la gestione corretta del problema».

«Ora il nostro impegno è sui malati cronici»

Con l’arrivo del collega la situazione si è alleggerita. «Non essendo in quarantena – spiega la dottoressa – lui può vedere i pazienti. Certo, non più di uno per volta. E per questo ha bisogno di aiuto, perché sta facendo il lavoro di quattro persone. In questi momenti il nostro impegno è sui malati cronici. Per qualche giorno c’è stata una finestra in cui la gente aveva come primo bisogno le ricette e anche un po’ di conforto. Abbiamo per fortuna un sistema per cui possiamo mandare le prescrizioni, con stampante e codice personale del paziente. E la protezione civile da oggi si è resa disponibile a prendere e portare direttamente in farmacia le ricette che facciamo. Ci stiamo organizzando, insomma».

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