Caso Vannini, la Cassazione: fu omicidio volontario. Appello da rifare. La mamma di Marco: potevano salvarlo
Caso Vannini, oggi è il giorno della Cassazione. E, ci si augura, il giorno della verità processuale. Dopo la controversa sentenza d’appello, oggi i giudici della Suprema Corte provano a restituire giustizia e verità alla morte di un ragazzo ancora avvolta nel mistero. «Fu omicidio volontario, serve un nuovo processo»: ha detto il Pg della Cassazione, chiedendo di annullare la sentenza della Corte d’Assise d’Appello di Roma, che ha ridotto da 14 a 5 anni di reclusione la condanna per Antonio Ciontoli. L’imputato, accusato dell’omicidio di Marco Vannini, fidanzato di sua figlia. Il pg ha inoltre definito «gravissima e quasi disumana» la vicenda.
Caso Vannini, la Cassazione: fu omicidio volontario
Non solo: come apprendiamo dal Tgcom 24, il Pg della Cassazione Elisabetta Ceniccola, nella sua requisitoria davanti alla prima sezione penale ha dichiarato: «Marco Vannini non è morto per un colpo di arma da fuoco. Ma è morto per un ritardo di 110 minuti nei soccorsi» da parte della famiglia Ciontoli. E ancora: «Il ritardo nel chiamare i soccorsi costituisce l’assunzione di una posizione di garanzia verso Vannini, presa da parte di Antonio Ciontoli e dai suoi familiari», ha sottolineato il pg.
Omicidio Marco Vannini, riaprire il processo d’appello
Dunque, tutto da rifare. Sull’omicidio di Marco Vannini, il ragazzo ucciso da un colpo di pistola nella notte tra il 17 e il 18 maggio 2015 mentre era a casa della fidanzata a Ladispoli, sul litorale romano. la verità è ancora da acclarare. E oggi passano al vaglio della prima sezione penale, i ricorsi presentati dalla procura generale di Roma, dai familiari della vittima, parti civili e dalla difesa. Punto centrale è sempre stato, e continua ad essere, la sussistenza o meno del reato di omicidio volontario, riconosciuto in primo grado ma non in appello. Dove un anno fa, la sentenza ha ridotto la pena per il sottufficiale della Marina Militare e padre della fidanzata di Marco, Antonio Ciontoli, da 14 a 5 anni.
La sentenza d’appello che scatenò indignazione e rabbia
Per l’omicidio di Marco, appena ventenne, lo scorso 29 gennaio i giudici della corte d’Assise d’Appello di Roma hanno condannato Antonio Ciontoli per l’accusa di omicidio colposo a 5 anni di reclusione. Contro i 14 che gli erano stati inflitti in primo grado. Confermando, invece, le condanne a tre anni per i due figli di Ciontoli, Martina e Federico, e per la moglie Maria Pezzillo. Un verdetto accolta tra lacrime di rabbia, disperazione e indignazione dalla famiglia di Marco, e dalla maggior parte dell’opinione pubblica. Come tutti ricordano, infatti, alla lettura della sentenza nell’aula quel giorno esplose la protesta di familiari e amici di Marco. «La sua vita non può valere cinque anni».
Quella ricostruzione che lascia ancora dubbi
Tutti gli imputati erano in casa quando Vannini venne colpito mentre era nella vasca da bagno da un proiettile che dalla spalla arrivò fino al cuore, uccidendolo. Durante il dibattimento il capofamiglia, Antonio Ciontoli, aveva detto di essere stato lui a sparare al fidanzato di sua figlia, spiegando però che il colpo sarebbe partito per errore. Una ricostruzione che ancora lascia dubbi e sospetti. E su cui la Cassazione chiede di fare chiarezza. Finalmente.
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