Dino Buzzati a 48 anni dalla scomparsa: l'”impolitico” con il desiderio di assoluto

27 Gen 2020 16:54 - di Massimo Pedroni

L’approccio alla figura dell’uomo Dino Buzzati, nel ricordo che ne fa il collega del  Corriere della Sera, nonché indiscusso maestro di giornalismo Gaetano Afeltra, riporta tratti inaspettati e sorprendenti del carattere dello scrittore nativo di San Pellegrino di Belluno. Località ove aveva visto la luce il 16 ottobre del 1906.

Afeltra fa riferimento al drammatico turbinio, degli avvenimenti tragici e sanguinosi, che si stavano verificando per le strade di Milano nella giornata del 25 aprile 1945 e alle reazioni che il collega mostrò rispetto a quei fatti. Dino Buzzati stava cenando tranquillamente a casa con la madre. Come se nulla fosse. Avvenimenti in corso, che nonostante fossero carichi di indubbia apprensione e angoscia per chiunque, sembravano non scalfire minimamente lo stato d’animo del giornalista. Cosa della quale Afeltra si rese conto con la telefonata di convocazione al giornale che gli fece. Aveva bisogno di un cronista di rango. Afeltra , a dispetto dei momenti incandescenti che si stavano vivendo voleva far uscire a tutti i costi il  Corriere dell’indomani. Buzzati imperturbabile, arrivò al giornale in bicicletta, dove scrisse l’articolo che fu intitolato “Cronache di ore memorabili”. “Per lui, quella era una sera come tutte le altre. Aveva solo fatto il suo dovere” chioserà Afeltra in un intervista inerente a quel fatto.

“Il deserto dei Tartari” capolavoro di Buzzati

A quel che dice Afeltra, l’estensore di quell’articolo, non era fascista ne tantomeno antifascista. Non per strategie di “sopravvivenza” particolari, semplicemente perché non riusciva a capirle. Tutta la sua opera, infatti sarà connotata dalla ricerca di risposte, ad inquietudini esistenziali, diverse dalle risposte che si cercano nell’alveo politico. Dino Buzzati era già un giornalista noto e apprezzato. Come scrittore, dopo la pubblicazione di alcuni racconti sul  Corriere, andrà a pieno titolo, all’attenzione della ribalta letteraria grazie a Leo Longanesi che gli farà pubblicare  Il deserto dei Tartari nel 1940. Testo che vedrà riconfermato il suo valore nella trasposizione cinematografica fatta dal regista Valerio Zurlini negli anni “70.

L’ufficiale Giovani Drogo (protagonista del romanzo), è assegnato all’antica Fortezza Bastiani. Essa è collocata in mezzo al deserto. L’avamposto, è pensato come linea di contrasto nei confronti dei temibili Tartari. Guerrieri che nella zona della Fortezza Bastiani, non si vedranno mai. Già da questi pochi elementi si può intendere la cifra stilistica del romanzo. Il deserto, la minaccia incombente dell’arrivo di un nemico che non arriverà mai. La connotazione metaforica e fantastica del lavoro di Buzzati, è già in questi ingredienti. Ma quello che ci preme evidenziare, è il meccanismo metafisico lacerante dell’attesa inserito dall’autore. Novità che non rimarrà privo di conseguenze nei contesti letterari. Attesa dei Tartari? Ma è solo l’attesa dell’attacco dei Tartari? Certamente questo stato tra i militari della Bastiani si trasfigura nell’attesa dell’attesa. Tipico della condizione umana. Crocevia di domande senza risposte, timori, speranze, ignoto.

La strategia letteraria dell’ “attesa”

Strategia letteraria efficacissima quella “dell’attesa”. Punto impalpabile nel quale ci possiamo identificare tutti. Inaugurato da Buzzati, e percorso meno di quindici anni più tardi, con declinazioni diverse da Samuel Beckett in  Aspettando Godot , per l’appunto. Attesa, durante la quale si staglia la solitudine umana. Con tutte le sue incertezze e fragilità.

E proprio la solitudine è un altro sentimento centrale per l’autore del Bellunese. “Vorrei che tu venissi da me in una sera d’inverno e, stretti insieme dietro i vetri. Guardando la solitudine delle strade buie e gelate, ricordassimo gli inverni e le favole dove si visse insieme senza saperlo” sono alcuni suoi versi, della sua produzione poetica dai quali traspare fortemente quel sentire.

Personaggio schivo. Solitario. Amante della montagna. Meta delle sue arrampicate e, del godimento pieno delle fascinazioni della natura. Buzzati era un alpinista. Grande dolore fu per lui, come disse l’amico Walter Bonatti, la mancata accettazione della domanda di adesione al Cai (Club Alpino Italiano). Dietro le scalate, nascondeva l’inappagato desiderio di assoluto. Di mistero. Quale situazione migliore, che quello del “corpo a corpo” con la montagna, per affrontare, dopo averla cercata quella solitudine che si trasforma in eccellente propellente per vivere illuminazioni di assoluto.

Personalità poliedrica

Personalità poliedrica, quella dell’autore del  Deserto dei Tartari . Nella sua attività giornalistica per anni curò la ”nera” del Corriere. Insieme di articoli che diventeranno un cofanetto di due volumi a cura di Lorenzo Viganò pubblicati da Mondadori.  Crimini e misteri , il primo volume, è inerente alla “cronaca nera” classica, il secondo Incubi  riguarda tragedie dettate dalla fatalità. Materiale denso, intenso, alla sua lettura ci si trova nei climi della galoppante metamorfosi della società italiana dal dopoguerra in poi. Articoli, che ci offrono lo sguardo dello scalatore, che si cimenta con gli abissi dell’animo umano che può scatenarsi in varie nefandezze, e l’imperscrutabile universo delle fatalità che spezzano “l’attesa” . In una letteratura nostrana dai baricentri troppo volatili, rimettere in luce, come merita, un autore del livello di Buzzati, sarebbe un bene per tutti. Ci lascerà il 28 gennaio 1972 (domani corre l’anniversario) con un dubbio “Ma i Tartari arriveranno?”

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