Acca Larenzia, parla Sivori: io iscritto al Msi, Recchioni morì per colpa di un infiltrato. Ma Mambro lo smentisce
Acca Larenzia, 42 anni dopo. Un commando arrivò presso la sede dell’Msi al Tuscolano e fece fuoco con una mitraglietta Skorpion uccidendo i due militanti Francesco Ciavatta e Franco Bigonzetti. Qualche ora dopo seguirono scontri violentissimi tra i militanti di destra accorsi sul luogo del delitto da tutta Roma, e i carabinieri. Al culmine dei tafferugli l’uccisione di un terzo ragazzo, Stefano Recchioni, raggiunto da un colpo di pistola alla testa. Per quella morte venne accusato l’allora capitano dei carabinieri Eduardo Sivori, successivamente scagionato da ogni accusa.
Acca Larenzia, la tesi di Eduardo Sivori
Oggi Sivori accetta di parlare di quella tragica sera rilanciando la sua idea, e quella di attivisti missini, mai sfociata in una seria ipotesi investigativa: l’ipotesi di un provocatore, un infiltrato, che sparò contro i carabinieri e se ne andò, scatenando il caos e la reazione degli stessi militari.
”Resto convinto della presenza di un infiltrato provocatore nei momenti caldi degli scontri ad Acca Larenzia – dice all’Adnkronos Sivori – E’ passato tanto tempo e a nessuno interessa più conoscere la verità, capire perché quei giovani sono morti così. E poi se qualcuno riaprisse davvero un’indagine non so se, sinceramente, capirebbe certe dinamiche. Quello del 7 gennaio fu un delitto del terrorismo rosso, non proprio un battesimo del fuoco ma un salto di qualità. Quanto a ciò che successe poi, per i noti fatti per i quali sono stato coinvolto e poi prosciolto, resto convinto della presenza di un infiltrato provocatore nei momenti caldi degli scontri che portarono alla morte del povero Stefano Recchioni”.
Aggiunge Sivori: “Nessuno vuole rileggere quella brutta pagina, si preferisce dimenticare. Resto convinto che durante gli scontri vi era almeno un ‘provocatore’, io l’ho visto, io ero presente, ne sono straconvinto. Quello era il periodo, quello era il sistema dell’epoca”. Indagare ancora? ”Non credo, perché oggi chiunque andasse a indagare non sarebbe uno di quelli che ha vissuto quell’epoca: non capirebbero nemmeno certi perché – dice Sivori – non capirebbero certi equilibri e certe cose… Cose che sono successe a me e ad altri”.
Quanto alla mitraglietta, “hanno già fatto quella indagine, fece un sacco di giri, spuntò un poliziotto, un cantante, tutte cose che dimostrano come a nessuno è mai interessato davvero sapere come andarono le cose”. Su quel giorno dei ragazzi missini ricorda: “Quelli che ho visto io non erano armati. Io stesso ero stato iscritto al movimento sociale… Non solo perché uomo dello Stato sarei stato davvero l’ultimo degli ultimi a voler creare il caos quel giorno”.
Cutonilli: Sivori ha ragione sulla presenza di un infiltrato
“Le parole di Sivori hanno riscontri. Ci sono persone presenti in piazza quella sera che videro il provocatore in trench sparare e dileguarsi”. Lo afferma l’avvocato Valerio Cutonilli, autore, con Luca Valentinotti, di Acca Larentia. Quello che non è stato mai detto (Trecento 2010). “Le perizie – sottolinea l’avvocato Cutonilli – dimostrano che spararono almeno tre pistole, solo due per mano di Sivori”. Dunque, secondo l’autore del libro-inchiesta su Acca Larenzia, “il provocatore sparò contro i carabinieri innescando la sparatoria”, mentre la “matrice dell’eccidio, ancora senza colpevoli, è da ricercare nell’area degli ex di Potere operaio della zona Centocelle”.
Sulla morte di Stefano Recchioni torna a parlare anche Francesca Mambro, che quella sera si trovava proprio accanto al militante missino della sezione Colle Oppio. Fu proprio lei tra i primi a soccorrere il ragazzo. “Ci sono morti di serie A e di serie B. Questi sono morti di serie Z, questi non li pensa nessuno ma la verità è che se non c’è giustizia non c’è pace, quindi non ci si può meravigliare se dopo tanti anni ancora ci sono cortei, manifestazioni. Perché su questa storia non c’è verità”.
Francesca Mambro: Recchioni colpito da chi doveva controllare la piazza
“Recchioni era accanto a me, morì tra le mie braccia – continua Francesca Mambro – Prima venne colpito da un lacrimogeno, quando si rialzò fu ucciso da un proiettile al volto. Agli slogan gridati alla manifestazione risposero con i proiettili. I ragazzi di destra che erano lì non spararono né tirarono sassi. Invece che cercare chi aveva ammazzato quei poveretti, lo Stato stava lì alla manifestazione. Non hanno saputo gestire la situazione e c’è stata la tragedia di Stefano, colpito non da un provocatore come dice qualcuno ma da qualcuno che doveva controllare la piazza e ha sparato”.
Quarantadue anni dopo si può ancora trovare la verità? “Gli elementi per riaprire le indagini c’erano tutti, non so perché non abbiano perseguito la strada dell’arma utilizzata per Acca Larenzia, la mitraglietta che ha sparato anche in altre occasioni. Potevano benissimo cercare un filo conduttore. Il problema è che non hanno mai chiesto chi poteva aver sparato perché non era ritenuto interessante, non premeva che si sapesse. Quanti morti di destra ci sono stati senza trovare mai i colpevoli? Solo a Roma la strage di Acca Larenzia, Francesco Cecchin, Angelo Mancia e altri. Le indagini sui morti di destra sono state aperte e richiuse senza che si arrivasse a nulla. Evidentemente ‘uccidere un fascista non è reato’ ma non è neanche perseguibile”.
E conclude: “Se ci deve essere una memoria in questo Paese -osserva Francesca Mambro- non è che si possono scartare dei morti. Quello che è successo dopo, i cosiddetti anni di piombo, a destra nascono dal fatto che non c’è stata mai la volontà di dare una risposta di giustizia a questi morti. Senza voler trovare delle scuse o delle attenuanti, quelle sono cose che hanno segnato tantissimo, almeno per quanto riguarda la mia scelta drammatica”.