«Usman Khan, pericoloso estremista islamico». Ma era libero di circolare per Londra. Il profilo
Emergono tanti elementi su Usman Khan, l’attentatore che ha ucciso due persone sul ponte di Londra. Elementi che creano perplessità e polemiche. Era stato condannato nel 2012 anche per aver partecipato a un complotto. Voleva infatti attaccare – nel 2010 – la Borsa di Londra. Khan, allora 19enne, era il più giovane di un gruppo di nove estremisti. Provenivano da Stoke-on-Trent, Cardiff e Londra. Furono condannati nel febbraio del 2012 da una corte di Woolwich.
La sentenza su Usman Khan
Nella sentenza il giudice scrisse che Usman Khan, insieme ad altri due imputati, erano «jihadisti più pericolosi» degli altri. Secondo le carte processuali, Khan aveva pianificato di realizzare «un centro per l’addestramento militare dei terroristi». Lo progettava nella terra di proprietà della sua famiglia in Kashmnir, si legge sul Guardian.
In un rapporto sul terrorismo stilato nel luglio del 2013 altri elementi. Usman Khan era uno di tre uomini che si erano recati da Stoke, nelle aree tribali amministrate dal Pakistan. Lo fece per il piano teso a realizzare il campo di addestramento terroristico. Il gruppo era stato trovato in possesso di copie di “Inspire”, il magazine in lingua inglese di Al Qaeda. Aveva considerato attacchi con lettere bomba.
Il disegno prevedeva un attacco ancora più pericoloso
Ma l’attacco più pericoloso che i nove volevano realizzare era quello contro la London Stock Exchange. Volevano piazzare ordigni esplosivi nei bagni. La polizia aveva anche trovato una lista, scritta a mano, di altri possibili target, tra i quali l’allora sindaco di Londra, Boris Johnson, il dean di St Paul’s Cathedral, due rabbini e l’ambasciata Usa a Londra.
Nella sentenza il giudice concludeva che si trattava di una «seria attività terroristica a lungo termine» che poteva portare ad atti atroci in Gran Bretagna. «Tutti prevedevano di poter tornare insieme ad altre reclute in Gran Bretagna come terroristi addestrati a portare a termine attacchi nel nostro Paese». E’ quanto scritto negli atti processuali.