La denuncia: «Chi ha ucciso mio marito non ha fatto un giorno di carcere, è una vergogna»
La morte, il dolore, i sogni distrutti. E per il colpevole niente. Solo uno schiaffetto giudiziario. «Troppi incidenti mortali, troppa irresponsabilità. Ancora troppa poca prevenzione. Facciamoci un esame di coscienza tutti. E chi ha ucciso mio marito mentre guidava non ha mai scontato un giorno di carcere, nonostante la pena a 3 anni di reclusione». È la denuncia di Marina Fontana, vedova di Roberto Cona, vittima di un incidente stradale e lei stessa rimasta gravemente ferita.
«Quando ho iniziato la mia battaglia sull’omicidio stradale ero una vittima», afferma. Lottava ancora per guarire dalle gravissime ferite fisiche che aveva nel corpo. Era sopravvissuta a un incidente stradale mortale, nella notte tra il 26 e 27 luglio 2013.
«Eravamo in coda in autostrada, con mio marito viaggiavamo da Milano in Sicilia. Fermi per una coda di macchine causata da lavori in corso, al chilometro 260, in Toscana vicino Firenze, tra Rioveggio e Barberino».
«Un tir con un autista di nazionalità turca, ci è venuto addosso con violenza». Ha colpito la nostra Lancia Thesis con la potenza distruttiva di una bomba», dice Marina Fontana. «E 12 ore dopo, all’ospedale Careggi di Firenze, dove siamo stati trasportati gravissimi sia io che Roberto, alle 13.15 del 27 luglio 2013, mio marito è morto. La chiamano morte cerebrale, abbiamo donato i suoi organi. Delle persone a me sconosciute, che so che stanno bene, vivono da allora grazie agli organi di mio marito».