I novant’anni del Premio Viareggio-Rèpaci: una storia di cultura e modernità (video)

9 Ott 2019 13:23 - di Massimo Pedroni
premio viareggio

Una bella giornata di fine settembre, di quelle nelle quali i colori e le fragranze cominciano a virare verso lidi autunnali, ho ricevuto in dono un libro di poesie. O caro pensiero (Nino Aragno) dello scrittore e poeta Renato Minore. Libro al quale è stato assegnato, per l’edizione 2019, della sezione poesia, il Premio Viareggio. Premio che può vantare una longevità invidiabile. Elemento nel panorama nazionale unico. Infatti il Viareggio festeggia quest’anno la sua novantesima edizione.

I novant’anni di Premio Viareggio

Il Premio fu creato nel 1929. I fondatori furono Leonida Rèpaci, Alberto Colantuoni e Carlo Salsa. Nacque sotto ottimi auspici, le cronache narrano che alla sua inaugurazione fosse presente la parte più accreditata del mondo culturale e letterario dell’epoca. Evidenziamo tra gli altri la presenza, per l’occasione, di Luigi Pirandello e Massimo Bontempelli. La prima edizione fu vinta da Lorenzo Viani con Ritorno alla patria e da Anselmo Bucci con Il pittore volante. Ovviamente nel corso di novant’anni, ventate estetiche, politiche e culturali di orientamenti differenti si avvicendarono. Ma fin dagli inizi, il Viareggio, fu considerato un Premio prestigioso, tanto che nel 1934 ne assunse la supervisione un personaggio di primissimo piano per l’epoca qual era Galeazzo Ciano.

Il “gran rifiuto” di Calvino e altre polemiche

Come tutti i Premi nel corso della sua lunga storia non è rimasto esente da polemiche e rifiuti. Celebre fu quello di Italo Cavino. Rifiutò il Viareggio con il seguente telegramma: «Ritenendo definitivamente conclusa epoca premi letterari rinuncio al premio perché non mi sento di continuare ad avallare con il mio consenso istituzioni oramai svuotate di significato». Prese di posizione siffatte sono fisiologiche al mondo letterario. Si riaccendono costantemente a illuminare contraddizioni e nodi del sistema ancora a tutt’oggi non pienamente risolti. Il Viareggio nel corso della sua lunga storia, spaziando per tutti gli ambiti della poesia e letteratura nazionale, ha dato riconoscimenti a molti autori eterogenei tra loro. Da Achille Campanile a Marcello Gallian, da Romano Bilenchi a Vasco Pratolini, Alberto Moravia ad Alda Merini. Questi sono ovviamente solo degli esempi nel vasta platea dei premiati.

I vincitori del Premio Viareggio 2019

Per la narrativa l’assegnazione di quest’anno è andato a Emanuele Trevi per Sogni e favole (Ponte alle Grazie). Per la saggistica a Saverio Ricci per Tommaso Campanella (Salerno). Renato Minore è stato, tra le tante cose pubblicate, autore di pregevoli monografie quali quella su Giacomo Leopardi e quella su Arthur Rimbaud. O caro pensiero è un toccante libro di poesie dalle molte sfaccettature, un poliedro espressivo immerso nel crogiolo dei grandi quesiti esistenziali che si pone nel proprio intimo ciascuno. Considerazione che, ad esempio, ha riscontro nell’ultimo verso della poesia nella raccolta La neve in un quadro di Bruegel che recita: «Ripeto con Zanzotto che ne sarà della neve che sarà di noi». Questa scoscesa inquietudine nella opera di Minore pare cercare rifugio nelle cose più prossime: «Minore è un visionario. Ma più che del semplice e dell’elementare è un visionario del piccolo. E il piccolo come si sa può essere piuttosto complicato» (Ruggero Guarini).

Renato Minore e la poetica delle piccole cose

In questa ricerca di appoggio sulle faccende minute della quotidianità è fatale impattare nuovamente con le caustiche domande di ricerca di “senso”. Si ripropongono costantemente con protervia. «Il presente si vede solo di profilo è il passato che abbiamo di fronte», verso conclusivo della poesia Le mani al microscopio. Apparentemente, non è citata nella poetica di Renato Minore la dimensione del futuro. Forse per cercare di semplificare un poco quell’andamento da montagna russa a perdifiato nel quale siamo avviluppati. L’oggi, ieri e il domani. Qualcuno potrebbe esultare di fronte all’ipotesi di uno scorrere del tempo bidimensionale. L’oggi e il passato sono dati certi, che suscitano nostalgia, ricordo, consapevolezze. Anche consolazione. Ma è la fame di futuro che spinge il poeta ad agire. Si mimetizza nel passato per scandagliare il domani. Renato Minore non fa eccezione, anche lui possiede un limpido concetto di futuro: «Ciascuno ha la sua mano di dadi già lanciati deve seguire solo quelli». Intensa suggestione, che spalanca le porte a riflessioni che portano lontano. Troppo. Accendono una infinità di domande. E la poesia, forse, serve proprio per questo. Non è detto che sia in grado di dare le risposte. Predispone, però, la cornice delle domande da farsi. Quelle essenziali.

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