Chat dell’orrore gestita da ragazzini: video terribili su WhatsApp con sevizie sui bambini

16 Ott 2019 12:33 - di Redazione
chat dell'orrore

Una chat dell’orrore. Immagini inaudite, terrificanti. Una neonata di nemmeno un anno seviziata da un adulto. Una bambina dall’apparente età di 11 anni mentre fa sesso con due ragazzini. A scatenarsi per mesi su WhatsApp è stato un gruppo di ragazzini italiani. Avevano creato una chat dell’orrore intitolata The shoah party. Da Rivoli, alle porte di Torino, avrebbero diffuso foto in tutta Italia.

Scambiavano video a luci rosse, immagini pedopornografiche, scritte inneggianti ad Adolf Hitler e all’Isis. Postavano frasi choc contro migranti ed ebrei. Foto di «una violenza inaudita», «scene di brutalità inenarrabile», secondo gli investigatori.

L’inchiesta sulla chat dell’orrore

L’inchiesta – l’ennesima – è scattata grazie alla denuncia di una madre, che nel gennaio scorso, si è recata dai carabinieri di Siena. Ha denunciato di aver rinvenuto nello smartphone del figlio 13enne video pedopornografici. Sono indagati 25 ragazzi: 16 minorenni tra i 13 e i 17 anni, e 9 maggiorenni tra 18 e 19 anni. All’alba sono scattate le perquisizioni. Coinvolte molte zone: Toscana, Val d’Aosta, Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia Romagna, Lazio, Campania, Puglia e Calabria. Le abitazioni degli indagati si trovano in 13 province.

Pedopornografia e istigazione alla violenza

La Procura ha indagato tutti per detenzione e divulgazione di materiale pedopornografico. In più, istigazione all’apologia di reato avente per scopo l’incitazione alla violenza e alla discriminazione per motivi razziali. Il più “anziano'”del gruppo ha compiuto da poco 19 anni, il più giovane ne ha 15. A far parte della chat dell’orrore vi erano anche 6 ragazzi, poco più che bambini. Tutti di età inferiore ai 14 anni, quasi tutti 13enni, e, per questo ritenuti dalla legge non imputabili.

Apologia di nazismo e islamismo

«Se non fosse stato per quella denuncia della madre a gennaio l’indagine non sarebbe partita né a Siena nè altrove», spiegano i carabinieri. «Perché un gruppo WhatsApp non conosce confini. E quell’espressione degradante di malcostume ha interessato molte regioni d’Italia. Moltissimi ragazzini hanno potuto osservare le immagini di pedopornografia, di enorme violenza, di apologia del nazismo e dell’islamismo radicale che vi erano contenute».

È in quegli abissi di degrado che i carabinieri hanno dovuto lavorare, attraverso intercettazioni telematiche.

I ragazzini rimasti invischiati

Tanti ragazzini dai 13 ai 17 anni sono rimasti invischiati più o meno consapevolmente in questa triste vicenda di pedopornografia. Altri, dopo essere entrati in quello spazio di orrore ospitato dal noto social network, ne sono subito usciti. «Ma nessuno di loro risulta aver denunciato la cosa», precisano i carabinieri. Autorizzati dai pubblici ministeri, i militari si sono introdotti con l’inganno all’interno del gruppo social. Sono riusciti a convincere gli amministratori della loro affidabilità con un giochetto da hacker.

Dopo oltre cinque mesi di indagini si è poi risaliti agli amministratori del gruppo, quelli che lo hanno creato e alimentato, minorenni e maggiorenni. Tutti residenti nella zona di Rivoli. Le immagini e i video postati sono stati attribuiti singolarmente alla responsabilità di qualcuno di loro. E alla fine ne è venuta fuori una documentata informativa di reato che è finita sul tavolo dei magistrati.

A questo punto i magistrati hanno ritenuto necessario interrompere da subito «l’attività delittuosa» dei ragazzini. I carabinieri avevano ricostruito tutto, ma maggiori elementi potevano emergere solo dalle perquisizioni.

Sono stati così emessi 25 decreti di perquisizione a carico degli indagati, che ha permesso di bloccare la diffusione progressiva dei partecipanti al gruppo. Un insieme di minorenni. Normalmente non si conoscevano tra di loro ma condividevano l’inconfessabile segreto. E cioè quello di provar gusto in maniera più o meno consapevole nell’osservare quelle immagini di orribili violenze.

Nel corso delle perquisizioni sono stati sequestrati decine di telefonini e computer, che verranno affidati ad un consulente tecnico d’ufficio che ne farà delle copie forensi, riproduzioni attendibili dei contenuti spesso indescrivibili delle chat dell’0rrore, necessarie per la promozione delle accuse in occasione del processo.

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