A Trieste la divisa è ancora sacra: non dimenticherà il sacrificio degli agenti uccisi

7 Ott 2019 18:13 - di Mario Landolfi
agenti uccisi a Trieste

Un singolare destino ha deciso che solo un giorno separasse il sacrificio dei due poliziotti uccisi a Trieste dall’anniversario degli Accordi internazionali che il 5 ottobre di 65 anni fa ratificarono il ritorno della città giuliana all’Italia. Vale la pena sottolinearlo perché in questi giorni di lutto e di dolore c’è chi si è stupito della moltitudine di popolo che si è stretta intorno ai corpi martoriati di quei due servitori dello Stato, morti troppo giovani e troppo assurdamente per consentire a chiunque di cavarsela con frasi di circostanza.

Trieste è italiana per scelta

In questo caso, però, stupisce lo stupore: morire a Trieste con addosso la divisa non è come morire altrove. In questo caso, un luogo non vale l’altro. Già, perché alamari, gradi, mostrine conservano a Trieste un valore che altrove si è perduto nelle fumisterie del “sociale“, nella retorica del lavoratore in divisa. A Trieste la patria è ancora la patria: un concetto sacro, paradossalmente più esaltato che sfumato dalla sua condizione di città di confine. La mitteleuropea Trieste è italiana perché ha scelto di esserlo. E a costo di sacrifici oggi inimmaginabili. Trieste non mastica federalismi, autonomie, localismi. Perciò non digerisce differenze tra italiani. Erano uno di Napoli e l’altro di Velletri, alle porte di Roma, i due agenti morti. Più o meno due terroni, si sarebbe detto altrove. E non necessariamente per offendere. Anzi, si sarebbe detto persino con l’affetto e la gratitudine che sentiamo di tributare a chi sceglie una vita difficile spintovi spesso dalla necessità.

Rotta e Demenego non saranno dimenticati

Non a Trieste, però, dove per ben due volte –  prima nel 1918 e poi nel 1954 – hanno imparato a riconoscere la patria nella divisa dei soldati accorsi a liberarla. Lì si è sempre e solo figli d’Italia. Certo, gli agenti Rotta e Demenego sono morti e nessuno potrà riportarli in vita. Ma è la memoria a consegnare gli uomini all’immortalità laica. E a Trieste, se ne può star certi, il ricordo del loro sacrificio non tramonterà.

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  • Marta Landolfi 7 Ottobre 2019

    Articolo autentico e penetrante