Strage di Erba, la svolta in Cassazione. L’analisi dei reperti mai esaminati
Dopo la decisione della Cassazione, ora la Corte d’Assise di Como dovrà fissare l’udienza pubblica sulla richiesta di analisi di reperti mai esaminati trovati nell’appartamento della strage di Erba, in cui l’11 dicembre del 2006 morirono Raffaella Castagna, il figlio Youssef, la mamma Paola Galli e la vicina di casa Valeria Cherubini mentre il marito di quest’ultima, Mario Frigerio, rimase gravemente ferito.
I legali di Olindo Romano e Rosa Bazzi, Fabio Schembri, Luisa Bordeaux e Nico D’Ascola, hanno infatti presentato un nuovo ricorso in Cassazione impugnando la decisione della Corte d’Assise di Como, che è giudice di esecuzione. La Suprema Corte ha deciso di rimandare gli atti a Como stabilendo la fissazione di un’udienza.
«Si tratta di pochi reperti rimasti, in sostanza campioni biologici, sopravvissuti alla distruzione degli oggetti ritrovati nell’appartamento di via Diaz», spiega all’Adnkronos l’avvocato Schembri. «Dopo la confessione di Olindo e Rosa – aggiunge -, forse non si ritenne opportuno insistere con le indagini esaminando altro materiale».
Oltre ai reperti, i legali hanno anche fatto richiesta di accedere ai server della Procura in cui furono depositati i file delle intercettazioni ambientali. «Ci piacerebbe capire perché sono sparite», sottolinea Schembri.
Quella sui reperti è una storia infinita, cominciata nel 2015. La difesa fece richiesta di poter analizzare, tramite accertamento tecnico, materiale mai esaminato. La risposta fu inizialmente un rimbalzo di competenze tra la Corte d’Assise di Como e la Corte d’Appello di Brescia. Incassati i “no” ai nuovi accertamenti, i legali fecero ricorso in Cassazione: nel 2017 i giudici della prima sezione della Suprema Corte ammisero l’incidente probatorio rimandano tutto a Brescia. Ma qui l’iter si arrestò nuovamente per “inammissibilità”.
Conseguenza una nuova impugnazione da parte dei legali di Olindo e Rosa. All’udienza del 12 luglio del 2018 in Cassazione, la Corte rigettò il ricorso specificando però che è diritto della difesa esaminare i reperti tramite accertamento tecnico davanti alla Corte d’Assise di Como. Nello stesso giorno, prima della pronuncia della sentenza, alcuni degli oggetti mai analizzati vennero però distrutti da un cancelliere dell’Ufficio corpi di reato presso il tribunale di Como.
«Arriviamo quindi all’ultimo capitolo. La Corte d’Assise di Como – ricorda l’avvocato – ha bocciato la richiesta a nuovi accertamenti sui reperti rimasti non condividendo il principio espresso dalla Suprema Corte, auspicando però un nuovo intervento della Cassazione che possa fare chiarezza sui poteri del giudice di esecuzione, che sarebbe la stessa Corte d’Assise di Como».
Allo stesso tempo, la difesa aveva fatto un’opposizione al provvedimento con richiesta di fissazione di un’udienza pubblica. A decidere sono i giudici della prima sezione penale della Cassazione che, dopo la camera di consiglio a porte chiuse svoltasi il 12 settembre 2019, qualificano il ricorso come opposizione stabilendo che venga fissata l’udienza pubblica per procedere in contraddittorio con le parti alla valutazione delle istanze presentate dalla difesa. Una lunga battaglia legale prima della richiesta della revisione del processo. «Al di là dei reperti, noi comunque da qui a qualche mese presenteremo una richiesta di revisione del processo, certo preferiremmo farlo avendo tutti gli elementi del caso», conclude l’avvocato.