Renzi mette un dito nell’occhio a Di Maio: la Boschi eletta capogruppo alla Camera
Diavolo d’un Renzi: se l’ha fatto apposta, gli è venuta benissimo. Far eleggere Maria Elena Boschi capogruppo di Italia viva alla Camera è, per Di Maio, peggio di un dito infilato nell’occhio. Eh sì, perché ora l’ormai ex-Lady Etruria è a tutti gli effetti una socia di maggioranza e, come tale, figura non aggirabile in qualsiasi tavolo, vertice o caminetto venga convocato per testare la salute del governo. O per deciderne l’agenda. E sai che divertimento quando si dovrà mettere mano ai truffati delle banche e si ritroveranno, l’uno di fronte all’altra, il capodelegazione grillino a Palazzo Chigi, cioè Di Maio, e la capogruppo renziana a Montecitorio, cioè la Boschi. Tra i due non è solamente scorso un fiume di polemiche al calor bianco, di insulti sanguinolenti e di contumelie di ogni tipo, ma sono fioccate anche querele. L’ultima risale alla vigilia delle passate elezioni politiche quando il grillino diede del «Mario Chiesa» – il primo “mariuolo” di Tangentopoli – alla renziana, che replicò con una querela annunciata nel salotto tv di Lilly Gruber. Tutta colpa, si fa per dire, del padre di lei, Pier Luigi, vicepresidente di Banca Etruria e bersaglio preferito dei Cinquestelle dopo che il crac dell’istituto toscano aveva lasciato in mutande centinaia e centinaia di piccoli risparmiatori. Di padre in figlia, Maria Elena, complice anche un suo attivismo alquanto sospetto presso banchieri e finanzieri, assurse più di Renzi a simbolo del Pd prono ai poteri forti. Apposta fu dirottata in Trentino per salvare il seggio. Ferite profonde, non lenite neppure dallo scivolone in cui incorse l’altro padre, quello di Di Maio, Antonio, piccolo imprenditore pizzicato dalle Iene con un paio di operai pagati in nero. Per evitare alla Boschi di consumare la sua vendetta, il figlio lo piazzò davanti ad una telecamera per un’autodafé degno dell’Inquisizione. Ma questo è ieri. Da oggi, invece, i due dovranno filare, se non d’amore, almeno d’accordo: c’è un governo da sostenere e una poltrona da mantenere. Ci sarebbero, è vero, anche due facce da salvare. Ma per quello, si sa, c’è sempre tempo.