Nuovo libro di Antonio Saccà, “La memoria dei ricordi”: presentazione a Roma

13 Set 2019 12:24 - di Antonio Saccà

Pubblichiamo qui di seguito un capitolo del libro di Antonio Saccà dedicato al “Secolo d’Italia”, per gentile concessione dell’editore e dell’autore. Il volume si intitola “La memoria dei ricordi- Amicizie, amori” (Armando editore). Il libro verrà presentato lunedì 16 settembre al Teatro Petrolini di Roma (via Rubattino 5- quartiere Testaccio) alle ore 21 nell’ambito di una serata teatrale e narrativa curata dall’associazione teatrale il “Cibo e l’arte”. Nel capitolo che riceviamo e volentieri pubblichiamo, l’autore rievoca gli anni della sua collaborazione al “Secolo”, iniziata sotto la direzione di Giano Accame

Ci leghiamo alle “cose” quanto alle persone, sì che il 20 ottobre, 2016, recandomi in via della Scrofa ho centellinato ogni minuzia del percorso. A Piazza Colonna c’è, ovviamente, la Colonna, il Palazzo de “Il Tempo”, a sinistra la sontuosa abitazione del Marchese Ferraioli, a destra la Camera dei Deputati, quindi imbocco la stradina del Bar Giolitti, tanta gente, specie straniera, impugna il gelato, una fila per acquistarlo, un’occhiata, se mai ci fosse la gentilissima proprietaria, non la vedo, e nelle sedie accostate ai tavolinetti non vedo Nicola Capria, Francesco Cimino, sono morti, certo, ma poiché passavo dopo anni, quanto avrei avuto gioia a rivederli, sedermi, parlare di noi giovani…

Continuo. Sto giungendo a via della Scrofa, a destra un Bar incavernato dove ci recavamo spesso, sul punto di angolo della stradina con via della Scrofa un negozio di pane e dolciumi, che frequentavo, giro a sinistra, via della Scrofa, pochi metri ed il gran portone dove aveva sede il MSI, poi Alleanza Nazionale, ancora qualche metro, e vi era il “Secolo d’Italia”. Sapete, quando torniamo nel borgo natio o in una abitazione molto vissuta e lasciata, insorgono memorie di cose e di persone, e sentiamo insieme malinconia perché il passato è passato, felicità di riattingerlo nel presente… È accaduto che Marcello Veneziani e Giuseppe Parlato hanno concepito e attuato una mostra, nella sede che fu del quotidiano, di pubblicazioni e vicende del Movimento Sociale… La sede del “Secolo d’Italia”, totalmente cambiata, lustra, ora, addirittura sfavillante, un gran salone d’ingresso, poi stanze, alle pareti, su banconi, riviste, pubblicazioni… Un ragazzo stappa spumante, appena entrati, tante persone…

Il “Secolo d’Italia” aveva un ingressuccio con qualche sedia, la guardiola dove sostava chi apriva con un pulsante, dico la sede a via della Scrofa; prima era stata a via Milano, dopo in via della Mercede, infine a via della Scrofa. Di solito era Fabio alla guardiola, un giovanotto erculeo, come vengono connotati i “fascisti”, premuroso, corretto, vi era spesso una ragazza dagli occhi ingenui, azzurrissimi, pure lei cortesissima, non ne ricordo il nome, facevano anche servizio di segreteria, telefonate, nessun distacco, una confidenzialità serena. Dopo una porta, la sala dei giornalisti con i tavolinetti, in tempi recenti i computer, entrando li si vedeva come un giardino con delle piante spaziate, passando questa sala, a sinistra, l’ampia stanza del Direttore.

Dopo Giano Accame, a via Milano, resse il quotidiano Maurizio Gasparri, forse a via della Mercede. Giano di sicuro aveva un orientamento, specie in economia, critico con il capitalismo liberista, come che sia era il momento in cui si stabilì l’alleanza con Forza Italia, furono vinte le elezioni, si ebbe un governo di Centro Destra. Gasparri impersonava questa situazione, moderato, ordine, famiglia, valori cattolici… Gasparri, attivo, dedito in pieno alla politico, ebbe cariche di Ministro, attualmente è Senatore del Partito Forza Italia. Mi lasciò totale libertà. Credo che, appunto, avesse aspirazioni politiche dirette non quale Direttore di un giornale, e ad esse si inclinò. Gli subentrò Gennaro Malgieri. Malgieri era, ed è, soprattutto un uomo di cultura, interessato ai pensatori degli Anni Trenta, la Rivoluzione conservatrice, più in generale al pensiero tedesco della crisi europea e al fascismo giuridico. Scrisse saggi, poesie, divenne parlamentare. Senza mettere giudizio sul resto del giornale, sia con Accame, con Gasparri, con Malgieri e, ne dirò, con Flavia Perina e Luciano Lanna, la sezione culturale del “Secolo d’Italia” non era da sottostare a giornali più diffusi e noti. Non ci fu stampa che antivide la crisi del capitalismo, la crisi demografica, la problematicità della globalizzazione, il disfacimento dei ceti medi, il bisogno di una alternativa “sociale” al capitalismo del profitto disoccupativo e sottoccupativo come noi. Mi auguro che se ne faccia mostra e studio. Perché questa visione? Per una mescolanza tra residui marxisti e residui nazionalisti, residui umanistici elitari e residui antiborghesi contro la cultura intesa come merce di consumo.

Quando la “sinistra” perse ogni senso della cultura di qualità considerandola aristocratica, antipopolare, reazionaria fummo un gruppetto di amici a cercare di difenderla senza però diventare cattolici, secondo un paradigma funesto che esistevano o comunisti o cattolici. Il punto della catastrofe, dell’americanizzazione sta in quel che ho detto: la cultura diventata merce, vale ciò che è più venduto. Non rientrando nel circuito del pubblico, della vendita alle masse, salvammo, quanto possibile, la cultura dal diventare merce condiscendente.

Di tutto questo, oggettivamente, diciamo, fu perno Aldo Di Lello. A parte Salvatore Dino di cui parlerò in altra occasione, la persona con la quale non dico: ho collaborato più continuativamente ma con una totale operosità accomunata è stata Alfo Di Lello. Robusto, occhi marroni attenti, viso da circasso ci siamo scatenati e dall’economia alla letteratura alla filosofia alla sociologia: cercammo di stabilire, dicevo, il senso della qualità, l’irrisione ai clamori illusionistici, la menzogna affermata, al dunque, di cui è preda la società odierna. Quella malattia che dagli Stati Uniti si è radicata in Europa, di confondere il consumo con la cultura, di accondiscendere, edulcorare, facilitare, capovolgere… l’abbiamo avversata radicalmente. Per riferirmi all’oggi, una società dove si paragona il cantanteverseggiatore Bob Dylan a Saffo ed Omero, come fa un importante giornale americano, è impazzita. E di questa follia siamo testimoni oggi come lo eravamo ieri: dei Beatles messi al pari o ancor più di Franz Schubert, non so cosa orripili massimamente, se l’ignoranza o la eversione cinica per amore del successo di pubblico. In ogni caso, abbiamo salvato la distanza culturale, senza di che c’è l’ammasso indifferenziato, la merce al ribasso. Lo stesso in economia: non credevamo il profitto molla dell’occupazione, né all’innovazione salvifica. Ne dirò in altra sede.

Con Aldo siamo stati (siamo) amici anche oltre l’ attività operativa. Lo feci collaborare con Salvatore Dino. Un periodo animatissimo. Aldo Di Lello lasciò la collaborazione al “Secolo”, anche Gennaro Malgieri lasciò il “Secolo”. Gennaro divenne parlamentare, Aldo fece parte della segreteria di Gianfranco Fini, quando il Presidente di Alleanza Nazionale, confluita nel Popolo delle Libertà, condotto da Silvio Berlusconi, divenne, Fini, appunto, Presidente della Camera. La direzione del “Secolo” fu attribuita a Flavia Perina, alta, magra, pronta, la quale associò Luciano Lanna. Lanna non era e non è un politico in senso corrente, lo è culturalmente, ha una tendenza spiccata al postmoderno, in qualche modo opposta a quanto avevamo fatto precedentemente. La cultura dei giovani, in particolare, gli è congeniale: canzoni, cantanti, cartoni, cinema, ripeto, quanto è giovanile, libertario nel senso di liberazione dai paludamenti, dal conformismo, dalla destra “legge ed ordine”. Un terreno affascinante, effervescente e minato. Il rischio è un postmoderno caotico senza qualità differenziata per timore di essere aristocratici; il pregio: cogliere la mescolanza dissestata odierna, ma purché la si colga come dissesto; il peggio del peggio sostituire il “basso” all’alto o credere che non esista un basso ed un alto. Poi il “Secolo” chiuse i battenti come pubblicazione stampata.

Mi aggiro nel salone e nelle salette. Alle pareti, sopra mensole, riviste, libri. Che luci, quanta gente! Come mai non c’è Aldo Di Lello? E Luciano Lanna, dov’è? E Annalisa Terranova? E Flavia Perina? Verranno dopo o hanno mete diverse? E Gianfranco Fini? Ah, ecco Gennaro Malgieri, ecco Marcello Veneziani, e Gianni Alemanno, e Giuseppe Parlato, e tu, e tu, e tu, Anna Teodorani, Gaetano Rasi, Enea Franza, Maurizio Gasparri, Giorgia Meloni. Come mai non vedo in guardiola Fabio: “ti chiamo Di Lello, Professore”, e compare Aldo, gli occhi più infossati dalla lettura, “che mi hai portato?”, gli do l’articolo: “andiamo a prenderci un caffè”… Un ragazzo in veste di cameriere mi offre spumante. Com’è possibile? Ero uscito con Aldo a prendermi il caffè! Non siamo nell’ottobre del 2006? Siamo nell’ottobre del 2016? Che strano! Silvano Moffa, Antonella Ambrosioni, e tu, e tu, e tu…

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