Il disagio di Di Maio, figlio di missino sottobraccio ai comunisti. Che dirà papà?

9 Set 2019 18:01 - di Marzio Dalla Casta

Sarà stato il pensiero rivolto al padre missino o, forse, la nostalgia canaglia per il felice consolato con Matteo Salvini o, ancora, la piazza che tumultuava fuori dal Palazzo e che gli rinfacciava l’attaccamento alla poltrona. Fatto sta che a guardare Luigi Di Maio assiso tra i banchi del governo al fianco di Giuseppe Conte sembrava di assistere più ad una cerimonia funebre che alla nascita del nuovo governo. Un volto teso, terreo ben oltre l’abbronzatura rubata in un’estate rovinata dalla decisione dell’altro console di aprire in pieno agosto la crisi di più pazza di sempre. Era facile leggere, su quel volto, il tormento interiore di chi ora si trova a coabitare sotto lo stesso tetto del «partito di Bibbiano», a sostenere con Matteo Renzi e Maria Elena Boschi l’imminente manovra economica e semmai, fra un po’, anche a dover  accettare a denti stretti la nomina di Emanuele Fiano a sottosegretario nonostante sul suo capo penda una querela per diffamazione sporta da Gianroberto Casaleggio e nonostante il deputato dem si sia difeso invocando l’immunità parlamentare, odioso privilegio della Casta solo fino a qualche giorno fa. Così va il mondo, avrà pensato lo spaesato Giggino. E in parte ha ragione: la realpolitik ha le sue regole. E poi lui il colpo di testa dell’antico alleato lo ha subito, non sferrato. Ma è una rimasticatura che non consola. Fosse dipeso da lui, Di Maio non avrebbe impiegato più d’un minuto a giubilare Conte e a prenderne il posto accettando l’offerta last minute di Salvini. Ma c’erano di mezzo troppi ostacoli, a cominciare da Beppe Grillo, decisissimo a dirottare la prua verso i suoi mai dimenticati compagni. I suoi appunti, non di Giggino. Il quale, gira e rigira, è pur sempre il figlio di un padre di destra e che ora si ritrova sottobraccio ai comunisti. Già, ora chi lo dirà a papà?

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