Di Maio vacilla dopo la rivolta dei 70 senatori: «Un equivoco, non ce l’hanno con me»
È solo un malinteso, una forzatura giornalistica. Luigi Di Maio tenta di minimizzare la rivolta interna dei 70 senatori testimoniata da altrettante firme in calce a un documento che chiede di “rivedere” i poteri del leader politico e di modificare lo statuto del movimento-partito in occasione della guerra sui futuri capigruppo.
Di Maio: «Le 70 firme non sono contro di me»
Una fronda guidata dai trombati? Di sicuro è una brutta grana per il capo eletto sulla piattaforma Rousseau che esibisce la più classica e abusata delle giustificazioni. La stampa ha capito male. «Sono stato eletto capo politico con l’80 per cento di preferenze, non con il 100 per cento ed è giusto che ci sia chi non è d’accordo ma far passare quelle 70 firme per 70 firme contro di me…», dice il ministro degli Esteri dai microfoni di RaiNews 24. Tutto bene, insomma come se l’infuocata assemblea dei senatori alle prese con l’avvio della scelta dei capigruppo non fosse mai esistita. «Ho sentito il senatore che ha raccolto le firme, Dessì, e anche molti dei senatori che avevano firmato il documento: in realtà, guardando il documento non si parla né del capo politico né della leadership del Movimento».
Bufera per la scelta dei capigruppo
Di Maio giura di non essere nel mirino e tira fuori le rassicurazioni dell’ex cerchio magico: «Ci sono persone che potrei definire amiche e con cui lavoro ogni giorno che mi hanno chiamato e mi hanno detto che è un grande malinteso:“’non è contro di te ma per rafforzare il gruppo parlamentare’”. Poi gioca al rilancio delle richieste dei ribelli: «Nei prossimi mesi la mia idea di ristrutturare il movimento con il Team del futuro e i Facilitatori regionali sarà portata avanti e avremo un’organizzazione che il movimento prima non ha mai avuto». Ma i malumori restano. Al timone dei “rivoltosi” c’è l’ex deputato Alessandro Di Battista, mentre a Palazzo Madama, dove i numeri per la maggioranza sono in bilico, ci sono personaggi di prima fila come Barbara Lezzi e Michele Giarrusso. Si registrano mal di pancia anche per l’ex ministro dei Trasporti, Danilo Toninelli, rimasto fuori dal governo con il Pd che spera di fare “almeno” il capogruppo.
Il senatore Dessì difende il documento
Il senatore di Frascati Emanuele Dessì (quello dello scandalo sull’affitto da 7 euro) affida a un comunicato il “chiarimento” e parla di complotto. «Le firme raccolte servono semplicemente a convocare un’assemblea del gruppo del Movimento 5 stelle al Senato al fine di discutere eventuali modifiche al regolamento del gruppo stesso. Luigi Di Maio non è in discussione», dice il senatore spiegando che «la modifica al regolamento serve per far in modo che il Gruppo parlamentare del Senato sia messo in grado di produrre proposte operative da dare a Di Maio. Questo processo, rispettoso delle regole e democratico, è stato strumentalizzato ad arte per portare un attacco al Movimento 5 stelle e al suo leader».