Antifascismo: Mario Scelba, con la sua legge, farebbe inquisire i magistrati

24 Set 2019 18:37 - di Massimiliano Mazzanti

Riceviamo da Massimiliano Mazzanti e volentieri pubblichiamo:

Caro direttore,

Come ama ripetere Paolo Mieli, quando tratta di Storia, correva l’anno 1973. Un anno importante, anche nella storia dell’Antifascismo. Dopo il golpe in Cile – un golpe “democratico”, se è vero, come vuole la “vulgata”, che sia stato orchestrato dalla Cia, da Henry Kissinger, seppur tramite i militari di Augusto Pinochet -, Enrico Berlinguer, per sua stessa ammissione, pensò bene di cambiare radicalmente rotta, cercando accordi sempre più stretti con la Dc, rilanciando in grande stile l’Antifascismo, messo per altro in allarme dal grande successo elettorale del Msi-Costituente di Destra dell’anno precedente. Per la verità, qualcosa già covava da due anni, da quando Luigi Bianchi d’Espinosa, magistrato in quel di Milano, a dicembre del ’71, decise di rilanciare l’accusa di “Ricostituzione del Partito fascista” contro il partito di Giorgio Almirante. Però, fu nel ’73 che, similmente a quanto si vede in questi ultimi due anni, la Sinistra ritornò pesantemente a parlare di Antifascismo, di Arco costituzionale, di “cordoni sanitari democratici” e fanfaluche del genere.

Oggi, il “leitmotiv” sono le “patenti di antifascismo” che le pubbliche amministrazioni pretendono che associazioni e cittadini esibiscano quando devono fare determinate richieste ai Comuni. “Patenti” che sembrano essere state legittimate da un giudicato del Tar di Trapani, in nome della Costituzione – Disposizione transitoria XII – che, nell’ordinamento penale, si concreta mediante l’applicazione di quanto previsto dalla legge 645/20 giugno 1952, altresì nota come “legge Scelba”. Da qualche anno, come si diceva, la “legge Scelba” viene tradotta sbrigativamente con l’espressione “il Fascismo è reato”, permettendo appunto non solo di sindacare le opinioni dei singoli o dei gruppi, ma, fatalmente, d’interpretare – altrettanto fatalmente: in modo arbitrario – come “fascista” questa o quella posizione politica, indicandola, di conseguenza, come “penalmente rilevante”. A questo punto, diventa essenziale chiedersi se sia questo il significato della “legge Scelba” e, nel dubbio, chiederlo – in senso lato – proprio allo stesso autore del testo normativo. Ecco, allora, che torna a bomba il 1973, quando il democraticissimo ministro democristiano, sulle colonne del democraticissimo settimanale “Epoca” (edizione del 3 giugno 1973), intervistato precisamente su questo questione dal futuro primo presidente del Consiglio dei ministri laico e democratissimo, Giovanni Spadolini, rispose: <La mia legge aveva una valenza contro ogni totalitarismo che si manifestasse attraverso la violenza, attraverso “metodi” fascisti>. Se qualcuno avesse ancora dubbi – magistrato, politico o cittadino – circa questa interpretazione della norma, potrebbe leggersela e rendersi conto di come Mario Scelba e il Parlamento – proprio per evitarne un uso distorto – elencarono con pignola precisione quali fossero questi comportamenti da perseguire e limitando solo a quelli l’applicazione della legge. Fare della “Scelba” uno strumento preventivo di discriminazione politica e amministrativa tra i cittadini e le forme associative – se è vero che le “discriminazioni”, come vuole la giurisprudenza moderna, sono forme di violenza -, significa non applicare la legge 645, ma ricadervi, compiendo un atto, seppur in nome di ben altri “principi” e “valori”, esattamente “fascista” nel senso indicato dalla norma. D’altro canto, come si è avuto modo d’illustrare in un libro sul tema, come potrebbe mai la nostra Costituzione imporre la “discriminazione” dei fascisti da tutti i processi democratici – politici e amministrativi che siano – sulla mera base dei loro sentimenti e delle loro personali convinzioni, quando la stessa Disposizione transitoria XII limitò – comma 2 – non oltre il 1953 le <limitazioni temporanee al diritto di voto e alla eleggibilità per i capi responsabili del regime fascista>. Essere eleggibili significa anche farsi propaganda, pubblicizzare le proprie idee liberamente, purché nei limiti previsti dal metodo democratico. Le leggi dell’Antifascismo – militante o giudiziario -, insomma, saranno anche apprezzabili per qualcuno, ma non certo radicate nella Costituzione. E sarebbe serio smettere di usare la Carta per coprire le vergognucce politiche di chi non ha più altri temi per contrastare gli avversari.

Commenti

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  • Giuseppe La Porta 25 Settembre 2019

    La legge Scelba è come disse Renzo de Felice una norma grottesca e liberticida che trasforma una disposizione costituzionale, la n. XII da transitoria in permanente, contraddicendo lo spirito e la volontà dei padri Costituenti che ne’ prefigurarono la vigenza limitata nel tempo . Oggi dopo più di 70 anni dalla promulgazione della Costituzione la disposizione n. XII dovrebbe essere abrogata e con essa la legge Scelba per rendere veramente compiuta la democrazia italiana che ad oggi non lo è. Mai piu leggi che introducono reati di opinione e la legge Scelba e la Mancino lo sono di certo . Manifestare il proprio pensiero anche con gesti non può essere un reato in una società che si dice democratica. Altrimenti non è democrazia ma un Regime liberticida.