Travaglio ci mette il carico da novanta: «Ecco i nomi di chi non deve fare il ministro»

30 Ago 2019 17:11 - di Giovanna Taormina

Nel giorno in cui Pd e M5S vanno ai ferri corti, Marco Travaglio ci mette (inconsapevolmente) il carico da novanta. Parla dei papabili ai ministeri nell’ipotesi di governo giallorosso e divide i buoni e i cattivi. «Non sembrano esserci ancora inquisiti o condannati», scrive sul Fatto Quotidiano. «Ci sono personaggi che pur intonsi sul piano penale dovrebbero restare fuori per motivi etici o di opportunità: Conte dovrà  fare una sana raccolta differenziata». E poi ancora: «Delrio brava persona, non ha brillato (per usare un eufemismo) su grandi opere, concessioni autostradali e controlli su strutture pericolanti come il Ponte Morandi: meglio che si tenga alla larga. Idem Toninelli, non tanto per le gaffe, quanto perché a dispetto della retorica sul Partito del No ha detto fin troppi sì: a opere inutili, costose, dannose e pure bocciate dalle analisi costi-benefici da lui stesso disposte».

Travaglio, ecco la lista dei non papabili

Poi sfogliando il Fatto quotidiano c’è un’intera pagina dedicata ai ministri da evitare: «Dall’ex ministro dem Dario Franceschini al senatore Pd Tommaso Nannicini, passando per il renziano Graziano Delrio, il pentastellato ministro dei Trasposrti Danilo Toninelli e il prefetto Mario Morcone». «L’errore da non ripetere più Danilo Toninelli al ministero delle Infrastrutture – si legge – resterà negli annali pentastellati come simbolo degli errori da non ripetere. Quel ministero incarna temi chiave per il M5S e Di Maio aveva scelto un competente, il geologo Mauro Coltorti. Poi, cedendo alle ambizioni ministeriali dei suoi colonnelli e al diktat di Salvini (va bene uno vostro ma che non sia bravo), ha battezzato Toninelli. La miscela esplosiva di annunci continui e incompetenza è puntualmente esplosa. Impegnato a inseguire Salvini su migranti e Ong, ha lasciato gestire il ministero a un gruppetto di amici e burocrati che hanno più che altro tutelato gli interessi padroni da sempre a Porta Pia. Come dimostra la tragedia del ponte Morandi». E su Dario Franceschini: «Ha dato lo stigma del renzismo al patrimonio culturale italiano». Duro su Tommaso Nannicini: «Nessuna vera discontinuità con uno dei registi del Jobs Act».

Commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *