Strage di Bologna, gli scheletri negli armadi dell’ex-Pci. Così Bolognesi si tradisce
A cavallo della fatidica ricorrenza della strage di Bologna, Paolo Bolognesi, presidente dell’Associazione familiari vittime ed ex-deputato del Partito democratico, è riuscito, nell’ordine, a etichettare come “depistatori” – rimarcando la natura “penale” di questo aggettivo – Gero Grassi, gli altri deputati che videro le carte del “lodo Moro” e i giornalisti che ne hanno scritto; a definire “ignorante” – «sarebbe ora che andasse a studiare» – lo storico e ricercatore universitario Giacomo Pacini, il quale di quelle carte ne ha viste e pubblicate un paio; a giudicare una “favoletta” le ipotesi che si configurano dalla lettura dei documenti che riguardano le minacce del Fronte popolare per la liberazione della Palestina.
Ora, a fronte di tanta veemenza, è d’obbligo la domanda: a parlare in questo modo è il presidente dell’Associazione 2 Agosto o, piuttosto, l’ex-parlamentare del Pd? Non è domanda retorica, in quanto, come presidente di una delle associazioni costituite intorno a uno dei misteri, per di più il tragico, della storia repubblicana, anche se le carte del “Lodo Moro” non riguardassero la strage di Bologna, meriterebbero una severa attenzione da parte sua: sarebbero pur sempre tracce di uno di quegli scellerati intrecci tra politica, servizi segreti e terrorismo che funestarono l’Italia negli “anni di piombo”.
Per altro, sempre come presidente di un’associazione che si batte per la legalità, minacciare querele o esposti per “depistaggio” contro chi sostiene tesi non gradite – essendo il reato di “depistaggio” configurabile esclusivamente a carico di pubblici ufficiali -, suona distintamente come un’intimidazione e questo poco si confà al ruolo che Paolo Bolognesi riveste. Anzi, non si confà per niente.
Allora, quale potrà mai essere la radice di tanta rabbiosa veemenza sulla vicenda della strage di Bologna? Di certo, il “lodo Moro” nasconde segreti che videro protagonista lo statista democristiano assassinato e, di conseguenza, il suo partito; ma è altrettanto chiaro a chiunque ricordi la politica di quegli anni come Aldo Moro, specialmente nella politica estera e nelle relazioni coi Servizi, fosse uso condividere col Pci le sue scelte o, quanto meno, a tenerlo ben informato.
Per altro, sempre nella capitale del Pci di allora, Bologna, viveva protetto e coccolato, Abu Anzeh Saleh: che la sinistra di allora – e chi è ancora attivo da quegli ormai lontani anni ’70-’80 – sappia di potersi trovare in un qualche imbarazzo, se saltasse fuori la verità sulla strage di Bologna?
Di una cosa si può essere certi – e se ne scriverà nei prossimi giorni -: quando venne interrogato per la prima volta, Thomas Kram giustificò la sua presenza a Bologna il 2 agosto 1980 praticamente con le stesse parole usate dai commissari nella “Mitrokhin” dell’allora Pds per cercare di sminuire la portata della scoperta.
Una alquanto strana convergenza d’idee, seppur concretizzatasi con una versione rivelatasi talmente falsa e abborracciata che lo stesso Kram dovette parzialmente correggerla in un’intervista giornalistica successiva.
Come dire: ogni volta che per la strage di Bologna salta fuori la sigla Fplp, nell’ex-Pci qualcuno trema. O reagisce a sproposito.