«Non provocano il cancro»: cellulari “assolti” per mancanze di prove

7 Ago 2019 16:11 - di Giorgia Castelli

L’uso dei cellulari non risulta responsabile di provocare il cancro nelle parti del corpo più esposte alle radiofrequenze durante le chiamate vocali. L’analisi dei numerosi studi pubblicati nel periodo 1999-2017 non rileva, infatti, aumento dei rischi di tumori maligni (glioma) o benigni (meningioma, neuroma acustico, tumori delle ghiandole salivari) legato l’uso prolungato (da 10 anni in su) dei telefoni mobili. Sono i risultati del Rapporto Istisan “Esposizione a radiofrequenze e tumori: sintesi delle evidenze scientifiche”, curato da Susanna Lagorio, Laura Anglesio, Giovanni d’Amore, Carmela Marino e Maria Rosaria Scarfì, un gruppo multidisciplinare di esperti di diverse agenzie italiane (Iss, Arpa Piemonte, Enea e Cnr-Irea). Si tratta di una rassegna delle evidenze scientifiche sugli eventuali effetti cancerogeni dell’esposizione a radiofrequenze, indirizzata principalmente all’aggiornamento professionale degli operatori del Servizio sanitario nazionale e dei tecnici del Sistema nazionale di protezione ambientale. Rispetto alla valutazione della Iarc (Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro) nel 2011 – spiegano gli autori – le stime di rischio considerate in questa meta-analisi “sono più numerose e più precise».

Cancro e cellulari: il rapporto

Inoltre, l’aumento di rischio osservato in alcuni studi caso-controllo – spiegano gli esperti – non sono in linea con l’andamento, nel tempo, dei tassi d’incidenza dei tumori cerebrali che, a quasi 30 anni dall’introduzione dei cellulari, non hanno risentito del rapido e elevato aumento dell’esposizione. Per chiarire, invece, le possibili incertezze che riguardano i tumori a più lenta crescita e l’uso del cellulare iniziato durante l’infanzia, sono in corso ulteriori studi, precisano i ricercatori. Anche l’ipotesi di un’associazione tra radio frequenze emesse da antenne radiotelevisive e incidenza di leucemia infantile, suggerita da alcune analisi di correlazione geografica, non appare confermata dagli studi epidemiologici con dati individuali e stime di esposizione basate su modelli geospaziali di propagazione.

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