Il grido di allarme dell’artigianato: «In 6 mesi chiuse 6500 botteghe, troppe tasse»
Gli artigiani vivono un altro momento di forte difficoltà. Nonostante nel secondo trimestre si sia verificata una leggera ripresa, permane il cattivo stato di salute dell’artigianato in Italia. Lo rileva la Cgia. Nei primi 6 mesi di quest’anno lo stock delle imprese artigiane è diminuito di 6.564 unità. Al 30 giugno scorso, il numero complessivo si è attestato a quota 1.299.549.
Ad eccezione del Trentino Alto Adige, in tutte le altre regioni italiane il saldo del primo semestre è stato negativo. I risultati più preoccupanti si sono registrati in Emilia Romagna (-761), in Sicilia (-700) e in Veneto (-629). A dirlo è l’Ufficio studi della Cgia. Una moria, quella delle aziende artigiane, che dura ormai da 10 anni. Tra il 2009 e il 2018, infatti, il numero complessivo è sceso di quasi 165.600 unità.
Altri dati arrivano dalle varie province. È drastico, ad esempio, il calo di imprese artigiane in Polesine: oltre il 30% in più di cessazioni rispetto alle iscrizioni. Un dato davvero preoccupante per la provincia di Rovigo che nel primo semestre del 2019 ha visto 225 iscrizioni e 296 cessazioni di aziende con un saldo negativo di 71 unità, ovvero con una “mortalità” del -31,56%.
«La crisi, il calo dei consumi, le tasse, la mancanza di credito e l’impennata degli affitti – afferma il coordinatore dell’Ufficio studi Paolo Zabeo – sono le cause che hanno costretto molti artigiani a cessare l’attività. E per rilanciare questo settore è necessario, oltre ad abbassare le imposte e ad alleggerire il peso della burocrazia, rivalutare il lavoro manuale. Negli ultimi 40 anni c’è stata una svalutazione culturale che è stata spaventosa».