Il biografo Ferrero: “Napoleone corre ancora davanti a noi: i suoi tweet sono ancora oggi attualissimi”

15 Ago 2019 17:31 - di Redazione

Non solo il “generale che ha vinto le battaglie” ma anche lo “statista” e il “manager di una abilità mai vista prima”. Napoleone Bonaparte, di cui oggi si celebrano i 250 anni dalla nascita, è una figura attuale. E anzi “corre ancora davanti a noi”. La pensa così lo scrittore e critico letterario Ernesto Ferrero, autore di ‘N’, il romanzo in cui ricostruisce i giorni dell’esilio sull’isola d’Elba di Napoleone attraverso gli occhi del suo bibliotecario. Conversando con l’AdnKronos Ferrero, che proprio con ‘N’ ha vinto il premio Strega nel 2000, spiega che “a 250 anni dalla nascita, Napoleone corre ancora davanti a noi. Quello che ci interessa, e anzi ha ancora molto da insegnarci, non è tanto il generale che ha vinto tante battaglie, ma lo statista, il grande organizzatore, il manager di una abilità mai vista prima, il fondatore della modernità, l’uomo che sapeva essere al tempo stesso un ministro dell’industria, dell’istruzione e della cultura, il legislatore del Codice civile, l’inventore delle tecniche di persuasione di massa, il costruttore di biblioteche”.
Ferrero, che ha anche scritto Lezioni napoleoniche con cui ha vinto nel 2003 il premio Elba Brignetti, afferma che Napoleone “poteva tutto perché voleva tutto, come scriveva Balzac, ma poteva perché sapeva, perché era un lettore forte dagli interessi enciclopedici. L’uomo che ha rilanciato il Louvre (con grandi opere rubate in Italia) perché convinto del potere formativo dell’arte e perché i francesi avessero una migliore idea della loro grandezza anche culturale. Fondava il potere, esercitato con lo spregiudicato cinismo di Machiavelli, sulla conoscenza e la competenza. E affidava i suoi messaggi ad aforismi fulminanti, che rivelano una perfetta, disincantata conoscenza degli uomini e una strabiliante lucidità politica. Erano altrettanti tweet che arrivavano puntualmente a bersaglio. Come quello, oggi molto attuale, che recita: L’uomo si presta spontaneamente a farsi ingannare. O ancora: È la convinzione a guidare gli uomini. Ci sono favole per tutte le età”, sottolinea Ferrero.
In dieci anni “il piccolo caporale corso, evidenzia Ferrero, diventato generale a soli 27 anni, è arrivato a calcarsi in testa la corona imperiale per la somma di tutte queste virtù. Due sono i cardini del suo sistema operativo: la meritocrazia, che consentiva carriere fulminanti a chi aveva dato prova di capacità e dedizione a prescindere dalla classe sociale; e il rispetto rigoroso dei budget”. “Con lui i figli del popolo sono diventati marescialli. E poi -rimarca ancora Ferrero – era un amministratore capace di leggere un bilancio come il più esperto dei commercialisti, e di andare a scovare il soldo che mancava. All’Elba riuscirà a tenere sotto controllo persino quello che la sorella Paolina spendeva per la tende e per le zuccheriere. Interminabile la sua battaglia contro gli speculatori, i profittatori, i fornitori truffaldini”.
Ripercorrendo l’itinerario seguito di Napoleone, Ferrero ricorda che “è riuscito a vincere persino da sconfitto. A Sant’Elena, con la collaborazione di Emmanuel de Las Cases, ha scritto quel Memoriale, primo best-seller dell’editoria moderna, che è diventato la Bibbia della borghesia emergente, che da allora gli ha dedicato un culto che non accenna a tramontare. Il suo messaggio era molto esplicito: ognuno di voi, bravi borghesi, può diventare come me, può conquistare il mondo se saprà dar prova di intraprendenza, coraggio, gusto della sfida”. “Tra le tante innovazioni che ha introdotto – afferma Ferrero – c’è anche un linguaggio di una comunicazione di straordinaria efficacia. Napoleone sapeva trovare le parole per parlare ai suoi, per colpire l’immaginazione dell’opinione pubblica, cui era molto attento. Anche perché ogni anno doveva convincere almeno 200.000 uomini di tutta Europa ad arruolarsi negli eserciti imperiali”.
“Dove ha sbagliato Napoleone, e perché la sua ascesa a un certo punto si è interrotta? Probabilmente – dice Ferrero – perché era un grande accentratore che avocava a sé le decisioni anche minime, come il cartellone dell’Opera di Parigi, da lui dettato mente era a Mosca. Ma bisogna riconoscergli che non ha avuto tempo di formare una nuova classe dirigente cui delegare le troppe cose che sei cui si occupava”. “Il suo sistema operativo – sostiene Ferrero – presupponeva una crescita ininterrotta, proprio come certe bolle speculative della finanza. Ma questa crescita, affidata alle guerre di conquista, si è scontrata con l’orgoglio nazionale, prima in Spagna, poi in Russia. Resta la sua straordinaria lungimiranza. A Sant’Elena dice che morendo lascia due grandi giganti nella culla: la Russia e gli Stati Uniti. E preconizza che l’Europa potrà crescere solo diventando unita, dandosi le stesse leggi e la stessa moneta. Era il 1821”, conclude Ferrero.

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