Fico e Renzi preparano la “congiura di palazzo”: il piano per non andare al voto
14 Ago 2019 10:10 - di Franco Bianchini
Fico e Renzi diventano i registi. Gli inciucisti preparano il trappolone. Pd e M5S sono passati dall’odio all’amore nel giro di pochi giorni, un’infatuazione improvvisa. La parola d’ordine è non andare al voto e restare incollati alle poltrone. Tutti al lavoro per la “congiura”, a partire da Pier Ferdinando Casini che, a fine voto del Senato, si è precipitato negli uffici del gruppo del Pd insieme ad alcuni senatori dem: «Mi fate vedere i numeri dell’aula, per favore?», ha chiesto. Al volo, gli uffici hanno mostrato all’ex presidente della Camera i tabulati: 161 e poi 162 “ok” nelle due votazioni.
Primo punto: la pace fittizia tra i dem
La proposta formalizzata da Goffredo Bettini, che ha avuto l’endorsement formale di Dario Franceschini (il primo a lanciare l’idea del patto con il M5S), ha continuato a camminare. È uno schema cui Nicola Zingaretti non ha chiuso completamente la porta, chiedendo però unità con un appello che già aveva sortito i suoi effetti. «Il segretario del Pd ha tutto il diritto di gestire questa fase», ha sottolineato Renzi. E, a conferma che una qualche forma di unità tra i democratici è possibile, l’ex premier ha replicato con un «non mi impicco alle formule» a chi gli ha chiesto «governo di scopo o istituzionale?».
I contatti tra grillini e Pd
Non si sono mai interrotti i contatti tra i partiti, soprattutto tra Pd e M5S. «Il percorso è lungo, l’esito è ancora imprevisto, ma si continua a lavorare», assicura uno degli “sherpa” incaricati di tenere vivo il progetto senza negare le difficoltà che ci sono, soprattutto nel campo del M5S. Per questo, a supportare l’attivismo in questo senso dell’area che fa capo a Roberto Fico sarebbero entrate in gioco figure esterne ma molto considerate nell’universo pentastellato, come quelle che ruotano intorno alla “Link Campus” di Vincenzo Scotti.
L’obiettivo di chi lavora a questa ipotesi è quello di far emergere una proposta politica che arrivi dai primi due partiti in questo Parlamento. Una proposta non di stampo istituzionale, ma prettamente politico. È questo il motivo per cui nel totonomi per un eventuale premier che circola in queste ore in Parlamento sono in calo le chance di Carlo Cottarelli, troppo legato all’iniziativa del Quirinale precedente alla stipula del contratto di governo Salvini-Di Maio. Per gli stessi motivi, appare più funzionale al progetto un nome legato a uno dei due partiti protagonisti di questa fase, anche se di area. Per questo circola il nome di Roberto Fico o di una personalità come quella di Raffaele Cantone. Le possibilità di un Conte-bis, invece, appaiono al momento remote. «È stato un premier insignificante», ha detto Renzi.