Ferragosto a San Vittore: tutti i difetti del nostro sistema penitenziario

16 Ago 2019 12:12 - di Andrea Migliavacca

Nei convulsi percorsi autostradali di Ferragosto, per interrompere la monotonia del traffico, capita di cambiare stazione, passando da un’emittente di economia ad una di musica rock (non sempre apprezzata dai passeggeri); può accadere di sintonizzarsi anche su Radio Radicale (in ogni caso memorizzata tra le stazioni), recentemente “attenzionata” da alcuni politici.

Per maturare una propria autonoma opinione, occorre ascoltare tutte le campane, anche le più distanti ed anche quelle (apparentemente) più stonate. Nel tardo pomeriggio il tema affrontato è stato quello del sistema penitenziario italiano, delle regole che lo sostengono e delle criticità con cui i detenuti e le guardie di Polizia penitenziaria sono costretti a convivere ed ob torto collo a condividere. È stato esaminato il caso del carcere di San Vittore, a Milano. Edificio collocato in una zona residenziale, prossima ai Navigli, nel centro (o quasi) della città. Una casa circondariale nella quale i detenuti sono “costretti” per il tempo, apparentemente transitorio, dell’espiazione della pena (quella minima) o della celebrazione del giudizio d’appello: una forbice infinita, variabile mediamente, tra i sei mesi ed i tre anni.

La struttura, obsoleta non solo nell’architettura, ospita numerosi detenuti: i più fortunati nei raggi rinnovati, gli altri nelle anguste celle, le cui ammuffite docce comuni rendono l’igiene un miraggio, soprattutto nei mesi invernali. I racconti dei detenuti sono estenuanti e rappresentano la sintesi di ciò che la pena (rieducativa e riabilitativa) non dovrebbe essere. Chi ha avuto la sventura di esservi detenuto – magari ingiustamente (perché capita anche quello) – porterà per sempre un drammatico ricordo ed una ferita, soprattutto psicologica, difficile da rimarginare.

Discrezionalità ingiustificata

La descrizione che gli intervistati hanno offerto della realtà carceraria milanese è stata fedele ed ha offerto lo spunto per una riflessione sia del sistema di detenzione, sia dell’intero corpus delle norme sostanziali.A  Milano, ma i dati potrebbero trovare una preoccupante conferma su tutto il territorio nazionale, i detenuti sono in prevalenza stranieri, in preponderanza extracomunitari, spesso afflitti da patologie psichiatriche, talvolta gravi, ma non al punto di collocarli altrove. Etnie diverse, culture e lingue diverse a confronto (e spesso scontro) in quegli angusti spazi. Il nostro recente legislatore, incapace di governare la durata del processo (eccessivamente lungo, per come periodicamente ricorda la Corte di Giustizia), si è concentrato sulla prescrizione, che non si dovrebbe consumare mai (con un’aberrazione denominata “legge spazzacorrotti”), piuttosto che ipotizzare uno snellimento della procedura, o forme alternative alla carcerazione.

Le pene sono spesso incongrue rispetto al reato commesso; i meccanismi di calcolo della pena, poi, sono soggetti ad una spesso ingiustificata discrezionalità. A ciò si aggiunga che il codice penale, periodicamente rivisitato, ha determinato una sproporzione tale da comminare pene detentive incongrue rispetto ai delitti commessi.Per scongiurare il pericolo di veder applicate pene incongrue, occorrerebbe ipotizzare una tabella nella quale incasellare la condotta del reo su cui modulare attenuanti ed aggravanti. La confusione parlamentare, tuttavia, ignora e lascerà irrisolta questa problematica (da tempo) contingente.

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