È morto il magistrato antiterrorismo Antonio Marini. Seguì il caso Moro e l’attentato a Wojtyla
È morto a Roma Antonio Marini, magistrato di lungo corso con una carriera legata alla lotta al terrorismo. Alla Procura di Roma per oltre 20 anni ha seguito le più importanti inchieste in questo ambito, a partire dal 1978 quando è chiamato a occuparsi del rapimento e l’omicidio di Aldo Moro. E c’è sempre lui a rappresentare l’accusa al processo contro le nuove Br per l’omicidio di Massimo D’Antona al processo contro gli anarco-insurrezionalisti. Marini è stato anche pubblico ministero nel processo sull’attentato a Giovanni Paolo II e come sostituto pg si era occupato anche della morte della studentessa universitaria Marta Russo. In pensione dal 2015, era malato da tempo.
“La verità sull’attentato a Wojtyla, il mio più grande cruccio”
In un’intervista al quotidiano la Repubblica, Marini racconto che il suo più grande cruccio era la verità monca sull’attentato a Wojtyla. «Dopo l’assoluzione dei bulgari – ricorda Marini – fui ricevuto da Giovanni Paolo II che mi chiese, “E allora, chi è stato…?”. “È stato un complotto”, gli risposi. E allora sua Santità mi interrogò: “Sì, lo so. Ma di chi?”. “Non lo sapremo mai”, gli dissi. La Corte ha assolto i bulgari per insufficienza di prove. E così cadde il teorema della pista internazionale, del complotto ordito dal Kgb, ed eseguito dai servizi bulgari. Purtroppo quell’attentato del 1981 è rimasto un gigantesco punto interrogativo».
«Non era mai successo – ricordò il magistrato – che un proiettile calibro nove, sparato a breve distanza, non uccidesse un uomo. Una mano sparò, e forse un’altra deviò il colpo, attutendolo. E il Papa in quella casualità fortuita che lo salvò ravvisò il miracolo. Per questo mi chiese alla fine del processo di avere il proiettile che lo colpì: quel frammento di piombo fu incastonato nella corona della Madonna di Fatima. Mi attirai delle polemiche perché mi accusarono di aver dato via un reparto giudiziario. In realtà ai fini processuali non serviva più».