Cosa vogliono davvero i leader: atlante della crisi di governo più pazza di sempre

25 Ago 2019 19:57 - di Valerio Falerni

È stata definita la crisi di governo più pazza di sempre. Ed è vero. E non solo perché procurata fuori tempo massimo da un Matteo Salvini in deficit di motivazioni apprezzabili, ma  soprattutto perché deflagrata come una mina sotto i piedi dei parlamentari, già muniti di infradito in vista della sospirata pausa agostana. E sono proprio le preoccupazioni degli onorevoli ad imprimere alla crisi l’andamento zigzagante che in questi giorni, grazie anche alla diretta tv del dibattito parlamentare, ha già scatenato le tifoserie politiche più di quanto non abbia fatto con quelle calcistiche l’avvio in queste stesse ore del campionato di Serie A. Per districarsi nel ginepraio di posizioni di ciascuna forza politica, abbiamo preparato un atlante della crisi che può aiutare a capire chi, tra i leader, voglia davvero le elezioni e chi no, le loro reali motivazioni e i loro obiettivi non dichiarati. Partendo, ovviamente, dall’autore (pentito) della crisi di governo più pazza di sempre.

Matteo Salvini – Il suo vero obiettivo non sono le urne, ma la permanenza al Viminale. È da lì, infatti, che la crescita della Lega, già in atto, si è trasformata da impetuosa in irresistibile. In più, tornare al voto senza più la forza propulsiva delle scorse settimane lo costringerebbe a riportare in vita l’antico centrodestra. Un’ipotesi che il leghista scaccia come un insetto fastidioso. I sondaggi dicono che dall’apertura della crisi ad oggi, il Carroccio ha perso già cinque punti. E che se tornasse da Berlusconi la perdita si trasformerebbe in emorragia. Morale: sì alle elezioni, ma solo come subordinata.

Luigi Di Maio – Dipendesse da lui, si voterebbe alla prossima eclissi di sole. Il suo M5S è in caduta libera e deve aggrapparsi a tutto per non schiantarsi. La crisi lo ha colto di sorpresa. Ma ancor di più lo ha sorpreso la velocità con cui Salvini ha tentato di fare macchina indietro offrendogli la poltrona di Palazzo Chigi. Sembrava una mano tesa, ma in realtà serviva (serve) a sabotare l’accordo con il Pd. Tirato di qua e strattonato di là, si è arroccato sul nome di Conte solo per non spaccare il MoVimento. Comunque vada, per lui sarà un disastro.

Nicola Zingaretti – Voterebbe domani mattina per infilzare uno ad uno tutti i parlamentari rimasti fedeli a Renzi e sostituirli con truppe proprie e diventare sul serio capo del Pd. Purtroppo per lui, Renzi è stato molto più veloce e si è messo sin dal primo minuto della crisi a capo del partito del non-voto, popolarissimo tra gli onorevoli. Partita difficile, quella di Zingaretti: la convenienza di partito gli impone di guardare al 2022, anno in cui si dovrà scegliere  il successore di Mattarella; quella personale gli suggerisce di far fallire la trattativa. Al suo posto chiederemmo consigli allo Zingaretti più famoso.

Matteo Renzi – vedi alla voce Zingaretti.

Silvio Berlusconi – È la vera “X” della crisi. In calo costante nei sondaggi, Forza Italia chiede con insistenza il voto confidando nella riedizione del centrodestra. Ma è solo la scorza filo-leghista del partito. Il corpaccione moderato e centrista tifa invece per un accordo purchessia. Il Cav guarda e lascia fare. In ogni caso, ci sarà bisogno di lui.

Giorgia Meloni – È l’unica che vuole andare alle urne. Senza subordinate e senza tatticismi. I sondaggi gonfiano le vele di FdI e con lei Salvini stipulerebbe volentieri un’alleanza elettorale e di governo in chiave sovranista. È la sola che vince in ogni caso.

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