Carcere di Perugia, detenuti sequestrano un agente di polizia penitenziaria

28 Ago 2019 13:01 - di Mia Fenice

A pochi giorni dall’evasione di un detenuto da Napoli Poggioreale, poi catturato, un agente di polizia penitenziaria in servizio nel carcere perugino di Capanne è stato sequestrato nella tarda serata di ieri da alcuni detenuti. La notizia è diffusa dal Sappe, Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria, che parla di ”fatto gravissimo” e sollecita il ministero della Giustizia ad intervenire con fermezza verso i tre detenuti che hanno posto in essere il grave evento ed a attivare da subito un tavolo di confronto sulle criticità carcerarie. Fabrizio Bonino, segretario nazionale per l’Umbria, ricostruisce l’accaduto: «Ieri sera, verso le 22, al Reparto Penale della Sezione 2° del carcere tre detenuti (un tunisino, un cubano e un francese) hanno incendiato un materasso e lenzuola. Quando l’assistente capo di polizia penitenziaria di servizio se n’è accorto, si è recato sul posto e mentre ritornava al box per dare l’allarme con violenza è stato preso da dietro e scaraventato a terra. Nella caduta ha avuto la lucidità e la prontezza di lanciare le chiavi delle celle verso il box dove il preposto le ha prese e immediatamente ha chiuso il box dando l’allarme. Il collega è stato preso dai detenuti e portato in fondo alla sezione, con una lametta alla gola».

Carcere di Perugia, l’aggressione

«Successivamente – continua Bonino – dopo una trattativa di circa due ore a cui hanno presenziato anche direttore e comandante, si è riusciti a liberare il poliziotto penitenziario sequestrato, che è stato poi portato in ospedale e dal quale è uscito con una prognosi di 15 giorni per trauma cranico. Sembrerebbe che i motivi che hanno scaturito il sequestro erano legati al lavoro e alla volontà degli stessi di partire da Perugia. Al collega sequestrato va tutta la solidarietà del Sappe, ma questo è un evento gravissimo che non può rimanere senza conseguenze», chiosa. «Inutile evidenziare che questo ennesimo episodio di violenza ed aggressione nei confronti del personale non sono altro che le risultanze di quello che il Sappe ha denunciato da tempo, ossia una inesistente sicurezza sui posti di servizio detentivo, dove i detenuti ormai la fanno da padrone. Infatti – prosegue il segretario del sindacato – a nulla sono valse sino ad oggi le nostre denunce e le nostre azioni dirette alla nostra Amministrazione ed ad altre autorità e per questo è necessario che si provveda un immediato cambio circa la gestione delle carceri italiane, evidentemente troppo sproporzionata a danno della sicurezza interna».

La solidarietà del Sappe

Solidarietà alla polizia penitenziaria di Capanne a Perugia arriva anche da Donato Capece, segretario generale del Sappe, che evidenzia la tensione nelle carceri del Paese: «Serve subito un tavolo di confronto sulle criticità penitenziarie al ministero della Giustizia. Non è ammissibile tutto quel che sta accadendo. La situazione nelle carceri si è notevolmente aggravata rispetto agli anni precedenti». Per Capece i numeri riferiti agli eventi critici avvenuti tra le sbarre nel primo semestre del 2019 sono inquietanti: «5.205 atti di autolesionismo, 683 tentati suicidi, 4.389 colluttazioni, 569 ferimenti, 2 tentati omicidi. I decessi per cause naturali sono stati 49 ed i suicidi 22. Le evasioni sono state 5 da istituto, 23 da permessi premio, 6 da lavoro all’esterno, 10 da semilibertà, 18 da licenze concesse a internati. E la cosa grave – precisa – è che questi numeri si sono concretizzati proprio quando sempre più carceri hanno introdotto la vigilanza dinamica ed il regime penitenziario “aperto”, ossia con i detenuti più ore al giorno liberi di girare per le Sezioni detentive con controlli sporadici ed occasionali della polizia penitenziaria». «Tutto questo non è più accettabile», conclude il Sappe. «Attiviamo subito un tavolo di confronto al ministero della Giustizia perché si trovino adeguate strategie di contrasto a questi continui eventi critici e, soprattutto, adeguate risposte in termini di fermezza verso chi li commette, anche riaprendo (se fosse il caso) le carceri di Pianosa e dell’Asinara».

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