Quel mullah terrorista che la Norvegia non riesce a espellere perché gode del diritto di asilo

16 Lug 2019 15:05 - di Redazione

È dall’inizio degli anni 2000 che Najmuddin Farah Ahmad, alias Mullah Krekar, è motivo di allarme e imbarazzo per le autorità norvegesi e, con il crescere della sua fama, per i servizi di intelligence di mezzo mondo, a cominciare da quelli statunitensi. L’inchiesta del Ros di Trento, per la quale è stato condannato a 12 anni di reclusione dalla Corte d’Assie di Bolzano è, per certi versi, la riproposizione di altre inchieste che lo hanno riguardato nel corso di questi anni. A cambiare, col mutare delle gerarchie nell’universo jihadista, è l’alleato di turno al quale gli inquirenti hanno accostato Krekar: un tempo Al Qaeda, oggi lo Stato Islamico. Sessantatre anni, di origini curdo-irachene, nel 1991 trovò rifugio in Norvegia, sfuggendo alla caccia di Saddam Hussein nel nord dell’Iraq. A differenza della moglie e dei quattro figli, Krekar non ha la cittadinanza norvegese. Questo ha consentito alle autorità di Oslo di emettere fin dal 2003 nei suoi confronti vari ordini di espulsione, tutti contestati da Krekar in tribunale e di fatto non eseguibili, per il fatto che il mullah, se consegnato alle autorità del governo regionale curdo, potrebbe essere condannato a morte.

Nel 2001, mentre godeva del diritto di asilo in Norvegia, Krekar per sua stessa ammissione fondò nel Kurdistan iracheno il gruppo islamista Ansar al Islam, una sigla che poi ricomparve anche durante il lungo e sanguinoso dopoguerra che fece seguito alla caduta di Saddam Hussein. L’obiettivo di Ansar Al Islam era la creazione di uno stato autonomo fondato sulla sharia. Krekar si dissociò dalle violenze commesse dal gruppo in Kurdistan, sostenendo di averne abbandonato la leadership prima della deriva jihadista. Nel 2006 fu inserito nella lista anti terrorismo dell’Onu. L’anno successivo la Corte suprema norvegese stabilì che Krekar era un “pericolo per la sicurezza nazionale”, emanando un nuovo ordine di espulsione. Nonostante questo, entrando e uscendo dai tribunali e finendo a più riprese in carcere, Krekar ha continuato in questi anni, più o meno indisturbato, a lanciare proclami, a minacciare di morte i suoi avversari, come l’ex premier conservatore norvegese Erna Solberg. E ha continuato a raccogliere proseliti. Fino al nuovo – e probabilmente definitivo – stop impostogli dall’operazione Jweb del 2015, per la quale ieri è arrivata la condanna in Italia.

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