Porti “violati” dalle Ong? Parla l’esperto: “Basta una semplice rete per fermare una nave pirata…”
Era una notte di settembre o forse di ottobre del 1997, nei dintorni di Valona, in Albania, arrivarono, forse dalla parte di Brindisi, alcuni gommoni neri con motori potentissimi ma silenziosi. A bordo c’erano degli uomini vestiti tutti di nero, che rapidamente scesero dai gommoni, salirono in spiaggia, e metodicamente iniziarono a squarciare con i coltelli i gommoni degli scafisti albanesi pronti a salpare alla volta delle coste pugliesi. I motori fuoribordo furono sabotati e le barche in legno videro la chiglia sfondata. Dopo alcuni minuti, forse venti, questi uomini misteriosi risalirono sui loro gommoni e silenziosamente come erano arrivati se ne andarono. Nessuno si accorse di nulla, tranne probabilmente gli scafisti che il giorno dopo non poterono ricominciare il loro traffico di esseri umani. Fu così che finì l’invasione dall’Albania e dalla sua anarchia, dopo che per anni erano arrivati in Italia decine di migliaia di albanesi in fuga dal caos totale susseguente alla fine del feroce regime comunista. A marzo, e precisamente il 28, c’era stata la tragedia della motovedetta sqipetara Kater i Rades, che oggi nessuno ricorda, che fu speronata dalla nostra corvetta Sibilla, che la fece rovesciare: i morti furono 81, i sopravvissuti 32. Era successo che l’Italia, per contrastare l’afflusso di clandestini dall’Albania, che veramente in quel caso scappavano dalla guerra, aveva effettuato un vero e proprio blocco navale. Ma il presidente del consiglio non si chiamava Matteo Salvini bensì Romano Prodi. E quel blocco navale era stato applaudito con fervore da Repubblica e da tutta la sinistra che allora, chissà perché, non era consì accogliente, inclusiva e umana come quella di oggi. Forse ancora non c’erano gli affari miliardari che ci sono adesso intorno alla tratta degli schiavi dal nordafrica, chissà.
L’esperto: “Basta tirare una rete nelle eliche e salire sulla nave”
Comunque non c’è bisogno di speronare una nave che entra in acque nazionali italiane senza permesso per fermarla, ci spiega l’editore delle riviste militari storiche Raids e Storia & Battaglie Luca Poggiali, profondo conoscitore di cose militari. “Quello della Sibilla probabilmente fu un incidente – dice – perché ci sono altri metodi per fermare le navi pirata che rifiutano di ubbidire alle forze armate nazionali: dopo aver intimato l’alt per radio più volte, qualora la nave pirata prosegua la sua corsa verso la destinazione, forse perché ci sono a bordo passeggeri paganti, basta intercettare da prua la nave e lanciare sotto la chiglia una semplice rete da pescatori, che si incastrerà nell’elica e la farà fermare”. Dunque, non c’è neanche bisogno di colpire le eliche con armi da fuoco, come qualcuno ha sostenuto in questi giorni dopo il caso della Sea Watch, poiché l’azione non è del tutto priva di rischi. “Il passo successivo – dice ancora Poggiali – sarà quello di un arrembaggio da parte del personale delle motovedette militari italiani, con l’invio a bordo di marinai italiani che prendano il controllo della nave. Siccome questi volontari delle navi ong sono caritatevoli soccorritori di naufraghi, è difficile che si oppongano con le armi a un arrembaggio. E non c’è nemmeno bisogno di far intervenie gli incursori, basta la Guardia di Finanza, ma la decisione naturalmente deve essere politica”. Certo, la domanda è proprio questa: siamo o non siamo uno Stato sovrano dai confini inviolabili, o basta un capitano – straniero – dei centri sociali per forzare il blocco e con successo? Molti si sono chiesti in questo frangente come si sarebbero comportate le marine e le guardie costiere di altri Paesi, anche europei, in caso di un’analoga intrusione della Sea Watch o imbarcazioni analoghe…