Paradossi: gli Usa pazzi per i borghi italiani che la sinistra tenta di uccidere

19 Lug 2019 16:18 - di Sabrina Fantauzzi

“Can a Small Italian Village Point the Way to More Livable Modern Cities?”. Tocca proprio a noi, che abbiamo fatto della battaglia per la riscoperta della lingua italiana, citare il titolo in inglese di un articolo uscito sulla prestigiosa rivista internazionale ‘Nation Review’ per sottolineare il paradosso che si sta verificando in Italia e nel mondo (https://www.nationalreview.com/2019/06/urban-design-crisis-modern-cities-livability/)

La scoperta della via italiana

Questa riscoperta della via italiana alle città più vivibili non arriva però dall’Italia, che si balocca sulla nuova frontiera  della cosiddetta rigenerazione urbana, “un eufemismo per evitare l’autocritica che imporrebbe una rivoluzione totale, con la demolizione e la ricostruzione dei mostri urbani”, ma arriva arriva dagli Stati Uniti d’America. La giornalista autrice del pezzo, Marlo Safi, è una ragazza di poco più di venti anni, vive a New York e ha trovato ad Artena il paese ideale per la rinascita di un nuovo, anzi antico, modo costruire le città. Un paese che è assurto alle cronache nazionali e internazionali anche per la curiosità che vede Artena uno dei Comuni che ha sperimentato un modo nuovo per raccogliere i rifiuti: l’utilizzo dei muli, diventati un po’ simbolo di questo borgo arroccato sui Monti Lepini e attraversabile solo salendo scalini di epoca medievale.

Il convegno ad Artena

L’occasione per scriverne e parlarne è stata la quarta edizione della Summer School di Biourbanistica (http://biourbanistica.com/it/) organizzata dal filosofo Stefano Serafini che ha chiamato a raccolta per una settimana ad Artena architetti, filosofi, giuristi, politici e studenti da tutto il mondo. Sede degli incontri, una chiesa, la chiesa di Santo Stefano, quasi a indicare la sacralità dell’architettura. Il tutto mentre si consumava la settimana più calda dei rapporti tra Salvini e Di Maio che si lanciavano le accuse di tradimento. Nell’impazzimento generale dell’informazione drogata dalla pornopolitica, ad Artena si parlava dell’uomo, dello sviluppo a basso impatto ambientale, delle distruzioni delle città a causa delle guerre, delle catastrofi naturali e della politica.

La distruzione delle città

A uno di questi dibattiti ha partecipato anche Fabio Rampelli, vicepresidente della Camera dei deputati, architetto che da trent’anni si occupa di città, megalopoli, architettura e urbanistica, individuate come il piatto più ricco della speculazione finanziaria che ha scelto l’edilizia per distruggere le città  e inscatolarci milioni di famiglie. “Sono accertati i danni che l’edilizia intensiva crea sull’uomo, danni biologici, psicologici, sociali”. Problema al quale Rampelli ha dedicato una vita di studi e di impegno politico. Ed è per questo che ha preferito prendere una pausa del commentificio politico, mettersi in macchina e partecipare all’incontro per parlare dei bisogni primari: avere una casa e una città a dimensione umana.

“Abbiamo trovato persone – ha detto il vicepresidente- che pur parlando lingue diverse, in realtà parlavano la nostra stessa lingua, quella dell’identità. Identità che può essere declinata in mille idiomi possibili ma che non prescinde dalla terra in cui si è nati, e dalla cultura con la quale ci si forma, in una sana rivendicazione del differenzialismo contro l’omologazione del capitalismo post industriale e della finanza globale”.

Tra le tante personalità, l’arch. siriana Marwa Al Sabouni, una donna di poco più di trent’anni che ha deciso di restare in Siria con la sua famiglia nonostante la guerra e la devastazione. Ha scritto un libro, ‘Battle for home’ diventato un caso in tutto il mondo e recensito da  The Guardian e che potremo leggere presto anche in italiano grazie a Serafini che ha acquistato i diritti per la traduzione e la pubblicazione. Ecco Marwa Al Sabouni, definita ieri una delle 50 personalità più influenti del pianeta, stava ad Artena a raccontare come l’architettura sia funzionale alla nascita di conflitti sociali, inter-etnici e sia  generatrice di conflitti bellici. Stava ad Artena con il marito, Ghassan Jansiz, anche lui architetto e fondatore del sito di architettura siriano, www.arch-news.net, e con i bambini. Durante il viaggio in Italia per venire ad Artena, sono passati per Roma. Che cosa l’ha colpita della nostra Capitale? “Il centro storico invaso dai turisti – dice sconsolata-. Non ho potuto vedere le facce dei romani. La desertificazione del cuore di Roma, ma dove vivono i romani?” chiede di rimando…

 Non è mancata una visita a una città di fondazione degli Anni Trenta quale ultimo esempio di città moderne a dimensione umana, Sabaudia. Come guida simbolica, Pier Paolo Pasolini, snobbato dai tanti sindaci del Pci, che negli anni ‘70 cominciarono a costruire gli orrori dell’edilizia intensiva. Oggi, l’erede del Pci, il Partito Democratico, tace. Non ha più nulla da dire sull’urbanistica perché gli scempi che decenni di amministrazione rossa ha determinato sono sotto gli occhi di tutti. Secondo Rampelli c’è tuttavia uno strettissimo legame tra l’edilizia italiana di stampo sovietico e il capitalismo occidentale. Ed è di questo che ha parlato durante il dibattito dal titolo: “Urbanistica, architettura, politica e poteri forti”.

Socialismo e capitalismo, il patto scellerato

“Per settant’anni – ha detto – il socialismo reale si è dato la mano con certo liberal-capitalismo, in un’imbarazzante convergenza di interessi a discapito della vita e del paesaggio. Due visioni parallele di società e di città solo apparentemente in conflitto, ispirate dal materialismo più arido, sintesi insospettabile, che hanno trovato nello sterminio dell’identità il comune denominatore.  Questi due sistemi hanno promosso l’utopia dei quartieri dormitorio come fossero la cupola del Brunelleschi. Hanno demolito insediamenti a bassa densità abitativa definendoli con disprezzo di matrice borghese o perché disfunzionali al consumismo. Hanno negato la città compatta e multifunzionale, la “città giardino”, l’urbanistica e l’architettura tradizionali. Hanno criminalizzato l’architettura classica e rinnegato il connubio tra atto creativo, progetto e identità, ucciso il senso d’appartenenza, predicato l’abitazione collettiva, quando non la coabitazione, ha pensato e, purtroppo, realizzato insediamenti formati da un unico fabbricato lungo un chilometro, con ballatoi in cemento di un chilometro, con cancelli simili alle porte carraie di un carcere. Hanno punito l’essere umano, costringendolo a non uscire neppure per fare la spesa, prevedendo un intero piano, utopistico, di servizi commerciali comuni”.

 È la storia del controllo sociale e subdolo della persona legato al socialismo reale nei Paesi dell’Est, al cupo totalitarismo che prevedeva dormitori di periferia e li sottoponeva alla vigilanza di un capo lotto, che si dotava di capi scala, tutti ovviamente affiliati alla polizia segreta e dalla stessa pagati, negazione dell’intimità e della libertà. È la storia, simmetrica, delle periferie del mondo occidentale, altrettanto brutte e invivibili, cresciute sotto l’egida dell’immenso profitto perché fare case tutte uguali, con la stessa tipologia e gli stessi materiali e riassunte nella immonda extradensità abitativa.

«La speranza? La civiltà italiana»

“Lo sterminio dell’identità il comune denominatore. Benvenuti a Slab-Urbia – ha tuonato Rampelli – il non luogo dell’edilizia intensiva e atomizzante. È qui che prende il sopravvento la logica alfanumerica dell’uomo consumatore: più si è eguali e omologati, più si è polli d’allevamento, esemplari con medesime pulsioni e desideri appagabili da identici prodotti commerciali e analoghe tendenze sociali”. “C’è speranza?”, gli chiedono:  “Sono convinto di sì. Basta riscoprire ciò che abbiamo sotto gli occhi: la tradizione ultramillenaria urbanistica e architettonica che costituisce un modello di comunità umana e sociale. Una tradizione che ha il suo fondamento nell’identità e nel genius loci. Chiamatelo pure sovranismo. Per noi è civiltà italiana, l’unica davvero universale”.

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