Emanuela Orlandi, domani in Vaticano l’apertura delle tombe delle due principesse

10 Lug 2019 17:00 - di Redazione
Il cimitero teutonico all'interno del Vaticano dove ptrebbe essere stata sepolta Emanuela Orlandi

Il primo esame delle ossa che verrà effettuato domani, all’apertura delle due tombe del Cimitero Teutonico, dentro le mura vaticane, per verificare, secondo quanto disposto dal Promotore di Giustizia dello Stato della Città del Vaticano, se vi siano contenuti i resti di Emanuela Orlandi, sarà quello morfologico delle ossa ma, «a prescindere da esso – spiega, al Direttore editoriale dei media vaticani, Andrea Tornielli, Giovanni Arcudi, l’antropologo forense, tra i maggiori esperti in questo campo, incaricato dalla magistratura vaticana di esaminare i reperti e prelevare i campioni per l’esame del Dna – l’esame del Dna verrà fatto in ogni caso per raggiungere delle certezze e per escludere in maniera definitiva e categorica che nelle due tombe ci sia qualche reperto attribuibile alla povera Emanuela Orlandi.

Già dal primo esame morfologico delle ossa che verrà effettuato domani all’apertura delle due tombe del Cimitero Teutonico – la cosiddetta “Tomba dell’Angelo” in cui è sepolta la principessa Sophie von Hohenlohe, morta nel 1836, e quella attigua in cui è sepolta la principessa Carlotta Federica di Mecklemburgo, morta nel 1840 – si potrà dare una datazione «approssimativa» delle stesse.

Ma come si è arrivati a decidere di aprire quelle due tombe? Tutto nasce da una lettera anonima nella quale c’era scritto di scavare in un punto preciso, lì, nel minuscolo cimitero teutonico dove da secoli vengono sepolti solo i nobili tedeschi nei pressi di una tomba sovrastata da un angelo che indica il terreno.

«Da questa prima analisi delle ossa possiamo proporre sicuramente una datazione, certamente approssimativa, ma per i periodi che a noi servono – di 50, 100, 200 anni – la possiamo fare. Possiamo distinguere se è un osso di 10 anni o che è stato lì 50 anni o 150 anni. Possiamo fare già la diagnosi di sesso, se le strutture ossee risulteranno tutte ben conservate. Potremmo anche arrivare, dopo questo primo esame, ad escludere l’ipotesi che i resti scheletrici appartengano a persone diverse rispetto a quelle due che sono state sepolte lì». E, dunque, ad Emanuela Orlandi.

«A prescindere dall’esame morfologico delle ossa – aggiunge Arcudi – l’esame del Dna verrà fatto in ogni caso per raggiungere delle certezze e per escludere in maniera definitiva e categorica che nelle due tombe ci sia qualche reperto attribuibile alla povera Emanuela».

Quanto ai tempi, chiarisce l’antropologo forense «l’esame del Dna non è di mia competenza, io mi occuperò di prelevare i campioni. I tempi di estrazione del Dna variano notevolmente, in qualsiasi laboratorio del mondo avvengano, a seconda dello stato di conservazione dei resti scheletrici. Possono variare, possono essere necessari 20 giorni, 30 giorni, e possono essere anche 60 perché talvolta bisogna ripetere l’esame. Tenendo presente che per l’identificazione noi abbiamo bisogno dell’estrazione del Dna ”nucleare”, che subisce delle degenerazioni, delle variazioni importanti a seguito degli eventi atmosferici. Il Dna mitocondriale – evidenzia – possiamo estrarlo più facilmente, ma quello non ci consente di fare analisi di comparazione o di fare il profilo genetico».

«Aprendo queste due tombe il Vaticano ammette la possibilità, tutta da verificare – dice all’AdnKronos il fratello di Emanuela, Pietro Orlandi – che ci possano essere responsabilità interne. Un cambio di posizione – sottolinea – Si ammette una possibilità finora sempre negata. Finalmente dopo 36 anni c’è una collaborazione concreta e giusta che io apprezzo tantissimo».

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