«Con Zingaretti la solita guerra di poltrone, mai che si scegliesse una brava persona…»

16 Lug 2019 10:12 - di Dario Corallo
Nicola Zingaretti

Riceviamo e volentieri pubblichiamo.

L’assemblea nazionale del PD dell’altro giorno arriva in un momento complesso per il Paese, per le sinistre e in particolare per il Partito. Le elezioni europee hanno rappresentato per il Partito Democratico l’elezione alla quale in termini assoluti abbiamo preso meno voti nella storia della sinistra di questo Paese, compreso quando la popolazione era la metà rispetto a oggi.

Ovviamente la responsabilità non è di questa nuova Segreteria, ma di un percorso iniziato anni fa che ci ha portato a restringere progressivamente la nostra base di riferimento identificando pezzi di Paese dietro a singoli dirigenti “famosi”. Per dirla con altre parole, la frase che ci è sempre stata rifilata, è che la sinistra è quella che va da Casini a Bertinotti, da Renzi a Vendola o da Calenda a Pisapia. Qui nasce l’equivoco: dietro questi nomi non si nascondono classi sociali diverse, ma una medio-alta borghesia più o meno progressista. Sempre di medio-alta borghesia si tratta. Il problema è che Zingaretti, come tutti i suoi predecessori, ha deciso di circondarsi di persone fedeli, sempre gli stessi, dai più famosi fino alla selva di dirigenti territoriali che stanno sempre e comunque in maggioranza. Nessuno che scelga mai di circondarsi di brave persone.

Lo schema è sempre lo stesso: un Segretario al quale è affidato il teorico compito di prendere voti e una sfilza di dirigenti che formalmente sostengono il Segretario, ma che lottano tra di loro per avere una poltrona in più dell’avversario interno. L’analisi e l’elaborazione politica diventano dunque semplicemente il terreno di scontro di queste correnti: il capo-corrente X sostiene una certa posizione non tanto perché la ritenga la più giusta, ma perché il capo-corrente Y sostiene quella opposta.

Lo abbiamo visto circa il tema dell’immigrazione: una serie di dirigenti che erano in maggioranza quando il PD adottava la linea Minniti e che adesso si scagliano contro quella stessa linea. Il risultato di questo vuoto di pensiero è che il PD cerca la soluzione ai problemi nel simbolismo: una serie di figure “eroiche” che assurgono, per qualche giorno, a salvatrici della sinistra globale per poi ritornare nel silenzio.

Penso a Greta subito diventata simbolo della lotta al cambiamento climatico o a Carola, capitana della Sea-watch. E come loro ogni tot mesi ci troviamo con un nuovo eroe della settimana. Una sinistra da eroi usa e getta. La sinistra non uscirà da questo stallo in questo modo. Serve un Partito solido fatto di persone normali, come me e come tanti altri che giorno dopo giorno vivono sulla propria pelle l’impoverimento, la mortificazione di lavori retribuiti sempre meno e la fatica di vivere senza più neanche la speranza di poter essere felici.

Serve da un lato una riforma interna del Partito e dall’altro una vera legge sui Partiti. Questa non deve essere solo una serie di norme che ne regolano la vita, ma l’occasione per riattivare una partecipazione popolare alla vita del Paese. Oggi, dopo l’incosciente abolizione del finanziamento pubblico, ogni tentativo di apertura è vano: la politica è e resta un fatto per pochi privilegiati, tanto tra le file della destra quanto della sinistra.
Nel finale del Galileo, Brecht faceva dire al proprio protagonista “Sventurata è la terra che ha bisogno di eroi”.
Sono convinto che la sfida del presente stia nel riconsegnare il potere politico al popolo ormai ridotto a semplice elettore di un’oligarchia che appare immutabile. In fondo questo è storicamente il nostro compito: portare i lavoratori, gli studenti e i disoccupati a fare politica in prima persona in quella che dovrebbe essere la loro casa.
A sinistra.

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