Carabiniere ucciso: domande e risposte su quello che non torna. Risolti «i 5 misteri»

30 Lug 2019 11:21 - di Redazione

È attesa per oggi la ricostruzione ufficiale dell’assassinio del carabiniere Mario Cerciello Rega e delle fasi dell’arresto dei due giovani americani Lee Finnegan Elder e Christian Gabriel Hjorth Natale. Gli uomini dell’Arma terranno una conferenza stampa che, sono le aspettative, possa finalmente chiarire tutti i presunti lati oscuri di una vicenda che ha lasciato sotto choc il Paese, con uno strascico di interrogativi e polemiche. Intanto, con un lavoro di ricostruzione giornalistica, ci ha pensato l’agenzia di stampa Adnkronos a mettere in fila domande e risposte sugli aspetti del caso che in questi giorni hanno destato maggiori perplessità, «i 5 misteri», li chiama l’agenzia: dal perché i carabinieri siano intervenuti in borghese al perché non abbiano usato le armi, fino all’errore sull’identikit degli aggressori, inizialmente identificati come due magrebini.

Perché erano in borghese?

«Perché i carabinieri sono intervenuti in borghese?», è la prima domanda a cui l‘Adnkronos dà risposta. Mandare Cerciello e il collega Varriale che erano in borghese non fu una leggerezza, ma una scelta dettata dalle necessità investigative. L’Arma rispondeva a una richiesta di “cavallo di ritorno” e bisognava non dare nell’occhio per evitare che gli estorsori scappassero prima di poter essere avvicinati. «Si fa sempre così in casi del genere», chiarisce l’agenzia di stampa, sottolineando che «si fossero presentati in uniforme, l’operazione sarebbe stata a rischio perché i ladri alla vista di una gazzella del 112 sarebbero scappati, e il piano sarebbe saltato e con quello l’eventuale fermo dei due estorsori. Poi le cose sono andate diversamente ma solo una macchina “civile” poteva fare quella operazione».

Perché Varriale non ha sparato?

Altro tema oggetto di interrogativi è stato quello legato al comportamento del carabiniere Varriale. «Perché non ha sparato?», è la domanda circolata. La risposta arriva dagli atti: «Leggendo gli atti dei carabinieri e confrontandoli con le dichiarazioni dei due ragazzi americani – scrive l’Adnkronos – vi è la certezza che l’aggressione è stata immediata, nel momento in cui i due militari si sono qualificati». Dunque, Cerciello e Varriale non hanno avuto il tempo di reagire all’aggressione dei due americani che è stata immediata. Inoltre, quando la rissa è finita Varriale ha pensato a soccorrere il collega colpito da 11 coltellate anziché rincorrere e sparare al buio contro i due aggressori in fuga.

La pista dei magrebini

Vi è poi la questione della pista dei magrebini, che tanto ha fatto discutere e politicamente ha dato la stura alle peggiori accuse di razzismo contro chi non aveva fatto altro che fare proprie le informazioni circolate dagli stessi ambienti dei carabinieri. Gli uomini dell’Arma, infatti, nelle prime concitate fasi delle indagini aveva raccolto la testimonianza di Sergio Brugiatelli, vittima del furto e della tentata estorsione da parte dei ragazzi americani. Era stato lui «a indicare – spiega l’agenzia di stampa – i due in fuga dopo l’omicidio come cittadini nordafricani» e come tali a descriverli ai carabinieri. Varriale, che aveva visto gli assalitori, poi, ha fornito una descrizione corretta non appena è stato in grado di riprendersi dallo choc di aver visto morire il suo compagno e quindi riferire l’accaduto. Intanto, però, era già partito quel primo identikit sbagliato fornito da Brugiatelli. A complicare le ricerche sui maghrebini forse anche la confusione dovuta alla presenza di un cittadino egiziano, tale Tamer, che parlerà di Brugiatelli ai carabinieri (aveva notato Brugiatelli mentre spingeva la sua bicicletta e parlava con due ragazzi con l’accento inglese). Ma c’è di più. «Quando 2 dei 4 carabinieri, in sella al motorino, rincorrono i fuggiaschi, vengono avvicinati da una persona con un cappello in testa e soprattutto da un altro soggetto con i cappelli ricci “dall’accento chiaramente straniero del Nord Africa», scrive ancora l’Adnkronos. Quindi tutti questi dettagli, nelle fasi convulse delle indagini prima della droga e poi dell’omicidio, portano a diramare ricerche su soggetti maghrebini. Quando dopo il delitto la verità viene a galla, i carabinieri impiegano pochissimo tempo per trovare i presunti assassini immortalati da diverse telecamere.

La chiamata ai carabinieri

I carabinieri Varriale e Rega vengono chiamati in piazza Mastai da 4 colleghi che, liberi dal servizio, hanno visto alcune persone muoversi con fare sospetto. Salgono su un motorino e provano a inseguire quelle persone. Provano a fermare Brugiatelli, poi lo spacciatore, quindi Natale Hjorth, l’americano che viene accompagnato a comprare lo stupefacente e che viene sorpreso a raccogliere un involucro da terra, che spiegherà essere Bentelan prima di consegnarlo al militare. Il carabiniere non può sapere che due ore più tardi quel ragazzo dai capelli biondi, riuscito a dileguarsi, assisterà all’omicidio del suo collega.

Il ruolo di Brugiatelli

L’uomo, che sarà presto indagato insieme al pusher per spaccio di stupefacenti, non è un informatore e lo dimostrerà nel colloquio con la centrale operativa del 112. In questa vicenda compare solo come una vittima di furto prima e di tentata estorsione poi. Che non ha droga con sé, e per questo indicherà ai due americani l’amico spacciatore, ma soprattutto vuole riprendersi il suo cellulare al quale i due americani rispondono, decisi a fargli pagare non solo l’acquisto mancato ma anche la truffa della tachipirina spacciata al posto della cocaina. Forse confusione viene fatta per ciò che racconta lo spacciatore, che raggiunto dai carabinieri, per togliersi di impaccio e dai guai, dirà di non avere i documenti dietro, di non aver fatto niente e di essere “amico delle guardie”.

Commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *