Borsellino, parla la “vittima” della malagiustizia: «18 anni in carcere da innocente, una vita rovinata»

18 Lug 2019 15:49 - di Alessandra Danieli

Depistaggi, vittime innocenti, collaboratori di giustizia loquaci e bugiardi.

«Sa qual è la verità? Che la mia vita è distrutta per sempre. Se l’è mangiata la giustizia. Niente e nessuno potrà ripagarmi questi 18 anni trascorsi in carcere, da innocente. Non ho visto crescere mio figlio, l’ho potuto vedere solo attraverso un vetro. Mia moglie è sulla sedia a rotelle per un ictus cerebrale. E sono senza un lavoro. Questa è una non vita». A parlare in una lunga intervista all’Adnkronos è Gaetano Murana, 60 anni, è un fiume in piena. A 27 anni dall’attentato in cui persero la vita il giudice Paolo Borsellino e i suoi uomini, l‘ex netturbino dell’Amia di Palermo è ancora sotto choc. Murana è uno degli uomini accusati falsamente dell’ex pentito Vincenzo Scarantino di avere fatto parte della strage di via D’Amelio. Un’accusa che gli è costata una condanna all’ergastolo, passata in giudicato. Poi annullata grazie al processo di revisione.

Strage di via D’Amelio, depistaggi e false accuse

«Il Procuratore generale mi chiese scusa quel giorno — racconta all’agenzia di stampa – quella fu l’unica volta in cui piansi. Nessuno mai mi aveva chiesto scusa per tutto quello che ho subito in 18 anni trascorsi ingiustamente in carcere». Gaetano, detto “Tanino”, difeso dall’avvocato Rosalba Di Gregorio (che non lo ha mai abbandonato), racconta: «Tutto ebbe inizio la sera del 17 luglio del 1994, mentre in tv c’era la finale dei Mondiali di Usa’94 e gli occhi di milioni di persone erano incollate sulla tv. Quella sera stavo guardando alla televisione la finale di Italia-Brasile. Mia moglie aveva finito di sparecchiare e mio figlio dormiva nella culla. Non aveva neppure un anno. Tra il primo e il secondo tempo il telegiornale diede la notizia del pentimento di Vincenzo Scarantino, un “picciotto”  che conoscevo di vista. Abitavamo abbastanza vicini. Ma non lo avevo mai frequentato. Dopo la finale andai a letto sereno. Non avrei mai immaginato quello che poi mi sarebbe accaduto poche ore dopo. E l’inferno che avrei subito per 18 lunghi, lunghissimi anni». È  l’alba del 18 luglio e non appena uscito di casa  per andare all’Amia (l’azienda per la raccolta dei rifiuti di Palermo), Murana  viene fermato da una voltante. «Prendo con la mia macchina un controsenso – racconta – quando all’improvviso una Giulietta mi si avvicinò e mi fermò. Ho capito che si trattava di poliziotti e pensavo che mi volessero multare per avere preso un controsenso. Mi fermarono e mi chiesero i documenti. Quello fu l’inizio di un incubo durato 18 lunghi anni».

Diciotto anni di inferno, poi l’assoluzione

Era  convinto che si trattasse di una questione di pochi minuti, solo una volta inziato quello che l’ex netturbino definisce lo “spettacolo” comprese. «Misero la sirena, il lampeggiante, fecero un testacoda, misero i passamontagna. Io non capii più niente. Quando entrai iniziarono a picchiarmi e a darmele di santa ragione fino a farmi svenire. Mi hanno massacrato di botte. Io chiedevo loro il perché ma arrivavano solo sputi e calci e c’era anche una donna tra loro. Non posso mai dimenticarlo. Poi mi sbatterono in camera di sicurezza. Solo la sera seppi quali erano le accuse nei miei confronti: di avere partecipato alla strage di via D’Amelio. Io sorridevo perché dissi subito che c’era uno scambio di persona. Pensavo che da lì a poco mi avrebbero rilasciato. Ma nessuno mi diede ascolto». Murana era accusato da Scarantino di avere bonificato e osservato il luogo dell’attentato, via D’Amelio. «Mi portarono a Pianosa – racconta ancora –  dove mi fecero sistemare in una sezione, la “Discoteca”. Lì subii torture di ogni genere, minacce, violenze. Pensi che nel cibo c’erano vermi, scarafaggi e persino preservativi usati».

«Mi dispiace per Borsellino e stimo la famiglia»

Murana è stato a lungo al 41 bis, fino al giorno in cui è uscito dal carcere. «La mia vita è finita. La mia vita si è spenta il giorno in cui sono stato arrestato», ripete ossessivamente alla giornalista. Oggi Murana chiede “semplicemente” giustizia. «Ho riportato da questa vicenda una condanna a 8 anni per 416 bis, che però è arrivata dalle accuse di Scarantino. Tutti i pentiti che sono stati interrogati nel processo hanno sempre negato perfino di conoscermi». A breve il suo legale Rosalba Di Gregorio presenterà una richiesta di risarcimento: oggi “Tanino” vive con una pensione di nemmeno 800 euro. Alla vigilia dell’anniversario della strage è lapidario: «A me dispiace molto per quello che è successo al dottor Borsellino. Io provo grande stima per i suoi figli e ringrazio Fiammetta per le parole che in più occasioni ha avuto nei nostri confronti. Spero solo di trovare un lavoro, anche se la mia è una non vita, vale la pena di essere vissuta».

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