Caso Palamara, la bordata dei penalisti: ora basta, separare le carriere dei magistrati

3 Giu 2019 19:34 - di Roberto Frulli
Il pm romano Luca Palamara

E’ pesantissima la bordata che gli oltre 8.000 avvocati italiani dell’Unione delle Camere Penali lanciano contro la magistratura italiana dopo il terremoto del caso Palamara che ha investito la Procura di Roma, alcuni pm capitolini, il Csm e i suoi membri coinvolti in una specie di faida fra le correnti sindacali delle toghe per agguantare alcune delle prestigiose poltrone di vertice degli uffici giudiziari.
I penalisti si dicono tutt’altro che stupiti e sorpresi da quanto sta emergendo. E, anzi, parlano di «formidabile festival dell’ipocrisia nazionale» e di «avvilente spaccato della magistratura italiana e dei suoi meccanismi di governo» ricordando il necessario valore del garantismo in uno Stato democratico.

Per i legali «questo spettacolo indecoroso» di «diffusione indebita e sapiente di brandelli di notizie relative ad indagini giudiziarie in vario modo collegate alla imminente nomina dei vertici di alcune importanti Procure italiane» mette a nudo un certo sistema. Ma, soprattutto, facilità «la comprensione di quale autentica devastazione può comportare, nella vita di una persona, anche solo una informazione di garanzia irresponsabilmente resa pubblica».

Così la deriva giustizialista di certe toghe ha travolto la stessa magistratura

I penalisti sottolineano di volersi sottrarre, da sempre, a questi giochi al massacro. E, inevitabilmente, pongono il problema di una deriva giustizialista che ha finito per rivoltarsi contro la stessa magistratura. «Nella nostra idea del processo penale – dicono le Camere Penali puntando il dito contro quelle «regie occulte» che hanno «dato in pasto al pubblico, senza ritegno presunte responsabilità penali» e, in particolare, quelle dell’ex-membro del Csm, Luca Palamara – non c’è posto per veline di polizia, intercettazioni telefoniche sbocconcellate fornite sottobanco ad una stampa famelica, e linciaggi preventivi».

Insomma gli oltre 8.000 membri dell’Unione Camere Penali colgono la palla al balzo per evidenziare, proprio partendo dalla deflagrazione della delicata e imbarazzante vicenda Palamara, tutte le contraddizioni di una certa magistratura politicizzata così concentrata ad accaparrarsi poltrone e potere più che ad amministrare la giustizia.

L’ipocrisia delle dinamiche correntizie dietro alle nomine degli uffici giudiziari

«E’ la cifra dell’ipocrisia quella che vogliamo denunziare in questa vicenda – dicono i penalisti – grazie alla quale staremmo dunque scoprendo l’acqua calda, e cioè che le dinamiche sottese alla nomina dei vertici degli uffici giudiziari sono tutte interne a logiche correntizie e perciò stesso schiettamente politiche».

«Ci si dovrebbe piuttosto interrogare – annota la Giunta dell’Unione Camere Penali – sulla ragione per la quale queste guerre senza quartiere, che possono giungere perfino – come in questo caso – all’uso della indagine penale per determinarne gli esiti, riguardino sempre e solo gli assetti degli Uffici di Procura, ed assai meno quelli degli uffici giudicanti».

«Si scoprirebbe allora che la ragione – affondano il coltello nel burro i penalisti – è la stessa per la quale i vertici della rappresentanza politica della Magistratura (cioè l’Anm, il sindacato delle toghe, ndr) appartengono da decenni (con l’autentica eccezione del nuovo presidente da poco eletto) a magistrati del Pubblico Ministero, pur rappresentando, costoro, poco meno del 20 per cento della platea dei magistrati italiani».

«È la titolarità dell’azione penale il cuore pulsante del potere giudiziario – avverte l’Ucpi – quella azione penale che la nostra Costituzione si ostina a pretendere obbligatoria, ma che è da sempre talmente discrezionale da consentire di distinguere addirittura, e con quale drammatica virulenza, nientedimeno che una continuità “pignatoniana” dalla sua discontinuità”.

Il potere immenso dell’azione penale che è discrezionale anziché obbligatoria

«Ora sarà più facile capire – ironizzano i penalisti – perché la magistratura italiana reagisce compatta e con tanta veemenza alla idea di separare le carriere e di affidare, come pure vuole quella legge di iniziativa popolare da noi propugnata, al Parlamento sovrano (che ne risponderà al corpo elettorale al più tardi cinque anni dopo) la individuazione dei criteri di priorità dell’esercizio dell’azione penale».
«La ragione sta – traggono le conseguenze gli 8.000 avvocati italiani – non nella difesa dell’autonomia e della indipendenza della magistratura, che nessuno intende mettere in discussione, ma nella difesa della esclusività di un potere immenso e tutto politico che appunto risiede nella titolarità dell’azione penale, e che si vuole assoluto, incontrollato e tecnicamente irresponsabile».

«Quando gli equilibri correntizi, dunque politici, funzionano, tutto sembra procedere per il meglio – osservano ironicamente le Camere Penali richiamando le intercettazioni di Palamara – quando quegli equilibri saltano, come oggi sta succedendo in modo clamoroso e catastrofico, si scopre l’esistenza di un’azione penale “pignatoniana” e una no, di un’azione penale a trazione fiorentina ed una a trazione palermitana, una azione penale perugina di un segno ed un’azione perugina di segno opposto. E che quelle differenze sono a tal punto decisive da meritare l’esplosione di velenose inchieste giudiziarie incrociate e di agende fitte di incontri con politici e parlamentari (e poi saremmo noi penalisti ad attentare alla indipendenza della magistratura dalla politica!)».

72.000 cittadini chiedono la separazione delle carriere fra giudicanti e inquirenti

«Non ci appassiona sapere come andrà a finire questa storia, perché essa è già chiarissima, per chi la vuole capire – concludono i penalisti cogliendo l’occasione per capitalizzare il proprio vantaggio – Occorre una radicale riscrittura dell’ordinamento giudiziario che, ferma e sacra la autonomia e la indipendenza della magistratura, separi inquirenti da giudicanti anche negli organi di governo della magistratura, rafforzando in essi, in modo paritario, la percentuale dei membri laici, e affidando al Parlamento, cioè ad un organo politicamente responsabile e rieleggibile, criteri e priorità dell’esercizio dell’azione penale».
«Questa proposta di riforma costituzionale – ricorda l’Ucpi – è già in discussione in Commissione Affari Costituzionali, voluta dalle Camere Penali Italiane e sottoscritta da 72mila cittadini: forse ora sarà più semplice comprenderne l’importanza e la necessità».
Chissà se la magistratura, scossa e suonata dagli ultimi scandali, è in grado di capire che, a questo punto, è diventato difficilissimo, se non impossibile, continuare a nascondersi dietro la foglia di fico dell’autonomia e dell’indipendenza delle toghe per rifiutare sdegnosamente la separazione delle carriere.

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