Uranio impoverito, ex militare scrive alla Trenta: “Malata io e il mio bimbo”
Una mamma, militare in congedo, ha scritto una toccante lettera al ministro della Difesa, Elisabetta Trenta. Lo ha fatto con una lettera aperta su Fb, che ha ricevuto migliaia di condivisioni.
«Cara ministro Trenta, chi le scrive – si legge nella lettera firmata da Elisabetta Tomaselli – è un militare in congedo il quale dopo aver letto le sue dichiarazioni a proposito della tutela dei militari».
«Mi sono arruolata a 20 anni, ero una ragazza con tanti sogni nel cassetto – scrive Elisabetta – ho indossato la divisa della Marina Militare, ero una np ed effettuavo servizio in una nota compamare, tra ammiragli e comandanti. Eseguivo pattuglie in spiaggia e controlli alle attività con il sogno, un giorno, di entrare in guardia di finanza».
«Quel sogno però si è infranto all’arrivo di ben due patologie. Nel frattempo ricevetti pressioni interne durissime che mi portarono al congedo. Senza rendermene conto, la mia vita cambiò, travolta dalla malattia senza capire nulla, sobbalzata tra medici e tra città diverse. Intanto il tempo è trascorso tra analisi, visite e tutto questo mentre crescevo e diventavo una giovane donna. Sola, trattata come un fazzoletto “usa e getta” buttato ai margini della strada , stanca, incapace di capire in che modo lo Stato (quello stato a cui avevo giurato fedeltà ) potesse abbandonarmi così».
«Cercai invano di dimenticare tutto ma questo riaffiorò il giorno in cui diventai madre, nel 2013 a 28 anni. Un cocente risveglio mi ha travolta come nemmeno un uragano saprebbe fare. Un bimbo stupendo venuto alla luce ma c’e’ qualcosa che non va. Quel bambino non dorme mai, sbatte la testa contro il muro, si fa del male, si graffia da solo, si colpisce al volto, non parla. L’inferno era lì, tutto per noi».
«Il mio bambino – sostiene la militare in congedo – intossicato da uranio. Non so se lei ministro è madre, vorrei parlarle con il cuore in mano. Sono consapevole dei vari incontri avvenuti tra lei ed alcuni miei colleghi . deve sapere che esistono militari come me che si sono ammalati in Italia, che non hanno prestato servizio all’estero eppure si sono ammalati. La cosa peggiore però non è questo bensì lo scotto che i figli come il mio hanno pagato. Lo Stato ci ha dimenticati, noi ci sentiamo così.
«In attesa di convocazione, spendo tutto quello che ho per le cure di mio figlio mentre io mi lascio andare lentamente, senza accorgermene. Io non ho avuto il lusso di partorire un bambino sano, mi è stata preclusa la gioia più bella. Un bambino di appena 6 anni ha pagato per uno Stato che lo ha abbandonato, che ha abbandonato sua madre».
«Questo bambino, è una vittima del dovere a tutti gli effetti ma non esiste, sua madre, la quale ha giurato fedeltà allo stato italiano, non esiste. Aspetto convocazione, nel mentre si tira avanti come si può, cercando di non pensarci e godendo di ogni giorno come fosse l’ultimo. Ho scelto quella divisa perché ero felice di fare qualcosa di utile per il mio stato, per il popolo. Tutt’ora, ascoltando l’inno di Mameli, mi commuovo e ho la pelle d’oca perché ancora ricordo il mio giuramento».
«Sarebbe un sogno, ottenere giustizia, per ora resterò in attesa e con me anche mio figlio a cui è stata negata la salute. Da cuore di mamma, non posso dire di più di quello che sento ovvero, la morte nel cuore, null’altro. Da militare, continuerò a lottare fino a che il mio corpo me lo consentirà. Chiedo giustizia per noi vittime del dovere, dimenticate da uno Stato che ci ha usato e poi abbandonato».
Una lettera straziante che, fa sapere Elisabetta, ha raggiunto almeno un effetto. Il ministro Trenta ha letto il messaggio e assicura che la riceverà al più presto.
Ringrazio di cuore il signor Marini per aver riportato questa toccante notizia con molta comprensione.
Si dovrebbero raccogliere firme per inserire un referendum in eventuali elezioni con lo scopo di togliere quel milione di euro all’anpi e distribuirlo a questi ragazzi che credendo in un ideale, quale la patria, oggi si ritrovano a combattere per la loro vita e dei propri cari. Non si può rimanere indifferenti a queste ingiustizie.