Terremotati in piazza a Roma: «Non abbiamo governi amici. Ricostruzione mai partita»

18 Mag 2019 11:51 - di Federica Argento

La rabbia e l’orgoglio. I terremotati del Centro Italia non ci stanno ad essere dimenticati e in piazza oggi a Roma hanno espresso il loro grido di dolore. Una nuova mobilitazione – “Su la testa” – a piazza Montecitorio, voluta dal coordinamento dei comitati civici che rappresentano i territori di Lazio, Abruzzo, Marche e Umbria. Il tempo infausto non li ha fermati. Sono arrivati con i pullman da tutti i paesi del cratere,  sono un migliaio e stanno protestando sotto Montecitorio. Chiedono di sbloccare i cantieri e fare ripartire la ricostruzione. C’è una parte dell’Italia dove il tempo si è fermato. Nel cuore dell’Appenino la ferita del sisma è ancora aperta», spiegano gli organizzatori e i partecipanti, che da tempo hanno organizzato questa marcia. Non ne possono più. «Basta selfie, passerelle elettorali, promesse mai mantenute da politici di ogni colore e schieramento. E’ ora che i cittadini prendano finalmente coscienza che noi terremotati del 2016-2017 siamo stati abbandonati e la ricostruzione potrebbe non partire mai!».

Un grido di dolore. Sono avviliti,delusi. «Ad oggi non abbiamo avuto nulla, tranne la solidarietà degli Italiani». Resistono, ma non nè facile. «Noi non abbiamo governi amici. Siamo scesi in strada nei nostri territori, siamo scesi in piazza a Roma, abbiamo protestato ma abbiamo anche proposto. Abbiamo scritto emendamenti alle leggi, partecipato ad infinite riunioni, i governi si sono alternati ma la risposta è stata sempre la stessa: una ricostruzione inesistente, un modello di ricostruzione che è imploso su se stesso e che andrebbe cambiato radicalmente perché inadatto, la mancanza di visione e programmazione a medio termine.

Terremotati scoraggiati

Sotto accusa l’assenza del governo, «quelli di prima e quelli in carica che solo un anno fa avevano promesso cose che poi non hanno mantenuto» affermano gli intervenuti a piazza Montecitorio. «Siamo di fronte all’ennesimo governo assente, che promette e non mantiene, e lascia al proprio destino un territorio così vasto dell’Italia Centrale». L’amarezza regna sovrana, gli organizzatori contavano su una presenza più massiccia. E non è solo una questione di condizioni climatiche scoraggianti. «Ad essere scoraggiata è tutta la popolazione che, ritiene che oramai non ci sia più nulla da fare», esclama Tudini, a capo di un comitato civico». «Quanche segnale positivo, dicono gli organizzatori, si comincia ad intravedere in Abruzzo. Ad inizio maggio scorso è stato annunciato il potenziamento l’Ufficio speciale della ricostruzione di Teramo, ora diretto da Vincenzo Rivera, ex direttore generale della Regione,  che avrà si spera a breve un organico di 65 dipendenti, e diventare finalmente una macchina efficiente capace di smaltire migliaia di pratiche che giacciono a prendere polvere da anni. Un segnale positivo è arrivato  con l’approvazione dello stanziamento da parte della Giunta regionale d’Abruzzo, di ben 51 milioni di euro proventi dalle risorse della Protezione civile nazionale, per l’acquisto di 240 alloggi, nel cratere 2016 abruzzese, da assegnare ad un migliaio di sfollati abruzzesi, che ancora sono in albergo, in case in affitto, percependo l’assegno mensile di autonoma sistemazione, per i mancati interventi nel patrimonio abitativo danneggiati dal sisma. Evitando di costruire altre costose casette post-sismiche, le famigerate Sae (Soluzioni abitative di emergenza)».

I problemi però sono ancora tanti

Ancora irrisolto  è il problema della normativa da applicare per la ricostruzione del territorio, se quella realitiva al sisma 2009 o quella introdotta nel 2016. Gli uffici comunali hanno personale insufficiente, e non adeguatamente preparato sulle pratiche edilizie post-sisma. Per di più gli uffici chiudono il sabato, che l’unico giorno in cui tanti sfollati o residenti altrove, possono tornare nell’ alto Aterno, a sbrigare le pratiche burocratiche». «Io abito a Roma per lavoro, dice un partecipante, e tornavo tutti i fine setiimana. Gli oriundi come me sono migliaia, paesani a tutti gli effetti. Ebbene, ora quasi più nessuno puo tornare, perché ha la casa inagibile, e non ha aternative logistiche, nemmeno un albergo, o strutture provvisorie che non è stato permesso di realizzare. Anche per questo pian paino questa terra sta morendo».

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