Sul caso Siri la conta di Conte non ci sarà: il premier ha già le dimissioni del leghista in tasca?
“Ho ancora quei tuoi quattro assi, bada bene di un colore solo”, cantava Francesco De Gregori in Rimmel mentre minacciava di svelare il gioco più intimo della sua amante ingrata e ripudiata. Sono gli stessi assi che forse ha nella manica Giuseppe Conte e che potrebbero avere anch’essi un colore solo, il verde delle dimissioni, quelle del sottosegretario Siri: segrete, inconfessabili, ma da tirare fuori al tavolo da gioco del Consiglio dei ministri di mercoledì al momento giusto per spazzare via bluff, rilanci e ribaltamenti di tavolo che potrebbero mettere a rischio l’esistenza stessa del governo.
«Mercoledì mattina in Consiglio dei ministri troveremo una soluzione e si ricomporrà tutto», ostenta sicurezza Conte. Perché a fronte di quel nodo inestricabile della “conta”, Conte lascia intendere che tutto filerà via rapido e prevedibile, come un congiuntivo sbagliato di Di Maio.
Siri, se ha deciso di lasciare, forse lo ha detto solo al premier, ecco perché il pokerista premier quando annuncia che sulla revoca di Siri “non ci sarà nessuna conta”, lo fa con perentorietà, lancia messaggi, si muove come un giocatore che vuole vincere con la sola forza delle carte, di quelle dimissioni che tutto lascia pensare abbia già in tasca e che tirerà fuori a fichés già puntate, solo al momento giusto, un attimo primo di una conta che avrebbe un esito numericamente scontato ma politicamente imprevedibile, forse deflagrante per il governo.
Su Siri si naviga a vista, è vero, al netto dell’arrabbiatura di Matteo Salvini che però non annuncia alcuna svolta. Non sarà lui a chiedere a Siri di dimettersi, punterà a un rinvio tecnico della “conta” a dopo le elezioni, proverà a soffocare il caso nelle urne, a dispetto della tentazione di Di Maio di esporre lo scalpo del sottosegretario leghista per eccitare gli animi dei suoi “tragliani” giustizialisti. «La cosa importante in questo momento è rimuovere quel sottosegretario che secondo me getta delle ombre su tutto il governo. Per farlo spero non si debba arrivare in Consiglio dei ministri”, insiste Luigi Di
Maio, dettando la linea di prima mattina. E il pressing continua per tutto il giorno: i ministri Alfonso Bonafede, Danilo Toninelli e il sottosegretario Vito Crimi scommettono sul fatto che Siri lascerà prima del cdm di mercoledì. Il M5S però non cavalca la nuova inchiesta sul palazzo acquistato dal sottosegretario leghista, derubricandola a fatto minore: «Non ci sono infatti né indagati, né ipotesi di reato». Una vicenda che Salvini commenta così: «Gli contestano di avere un mutuo, allora è un reato che stanno compiendo milioni di italiani. Io sono tranquillo, possono aprire tutte le inchieste che vogliono».
La Lega, pare certo, non prenderà un’altra decisione. Toccherà a Conte arrivare al punto promesso e far fuori Siri, un sottosegretario del suo governo “per ora solo indagato”, come ricordano, come un mantra, tanti big di via Bellerio, spiegando che si tratterà di “un precedente particolarmente rischioso”. A meno che, come sembra, non abbia il suo asso da tirare fuori, le dimissioni di Siri, il passo indietro di cui solo lui è a conoscenza. In caso contrario, lo scontro in Cdm sarà inevitabile. Ma i margini sembrano strettissimi, perché l’accelerazione del premier lascia poche chance alla pace, dimissioni o siluramento, un bivio che comunque resterà di facciata, da separati in casa, almeno fino al voto delle europee.
E allora, se non ci saranno sorprese dell’ultima ora, la palla, che Salvini ha deciso di lasciare nelle mani dei partner di governo, potrebbe finire al Colle, dopo mercoledì. Perché sarà Mattarella a dover controfirmare l’allontanamento di Siri: “E ci potrebbero essere dinamiche istituzionali inaspettate che stanno nelle cose e che tutti dovranno valutare in modo corretto”, ragionano nel partito di Salvini. Nessuno, dicono in casa Lega, tira per la giacca il capo dello Stato. Ma un suo intervento, in questo caso, sarebbe un punto a favore per Salvini.